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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   LIBRO I'RIMO.
   capitassero i destini di Roma e della libertà. La nobiltà, quantunque potente di ricchezze e d'ingegni, era divisa di afretti e di voleri, che mutavano secondo le ambizioni, i pericoli e gli interessi di ciascheduno, e le brutte cupidigie come gli atti perfidi o crudeli di molti de' suoi capi le avean levato autorità ed amore nel popolo; il quale lasciavasi oramai comprare facilmente dall'oro e dagli spettacoli di tutti coloro, che dopo la dominazione di L. Siila (1) credevano lecito e possibile surrogare la potenza di un solo alla volontà connine, il diritto della forza alla ragion delle leggi, e, se la fortuna li ajutasse, recarsi in mano l'impero della republica. Cosi 1' autorità del senato diminuiva ogni giorno, e cresceva la potenza de' privati cittadini che a loro possa disponevano del denaro, delle magistrature, degli eserciti: nò, tanto il contagio del vizio o della paura aveva invaso gli animi, aveano da temere alcun freno o punizione delle loro violenze dai tribunali, i quali si governavano assai più spesso a seconda delle passioni che della giustizia.
   Questo moto di cose fermato un istante col mal esito dell' improvvida quanto scellerata impresa di Catilina, riprese ben tosto il suo corso coi furori tribunizii di Clodio, ed a dirigerlo e farne prò, non a reprimerlo, fu stretto nel 604 quel patto di privata alleanza tra Cesare, Pompeo e Crasso, i primi effetti del quale furono che Cicerone venisse dato in olocausto alla vendetta de' demagoghi, gli ultimi la conquista delle Gallie, la guerra civile e la dittatura di Cesare.
   Pertanto può il consolato di Cicerone essere considerato come il punto culminante della prima metà di questo periodo, il quale va coli' altra a compiersi nel 711, quando il secondo triumvirato portò insieme la fine della libertà e la morte di quel grande cittadino.
   Del resto i politici avvenimenti non furono soli a dar moto e forma alla letteratura romana in questa età, perocché, giova dirlo una volta per tutte, le condizioi politiche, per quanto fossero favorevoli, non bastarono in verun tempo a creare una letteratura se non ebbero ajuto da altre cagioni. Fra le quali non è da dimenticare la fortuna, che a certi secoli più che a certi altri si dimostra propizia, facendo nascere alcuno di que' potenti intelletti, i quali della grandezza delle lettere, come d'ogni altra gloria umana, sono pur sempre gli autori principali. E Roma n'ebbe allora tanti e si diversi da illustrare, non che un secolo, tutta una letteratura. A. questi debbonsi aggiungere le scuole numerose e fiorenti, i bisogni della civiltà che colle ricchezze e cogli agi ogni dì crescevano e si raffinavano, e il gusto della dottrina e dell'arte greca divenuto oramai tanto comune, che il greco si parlava dai più famiglìarmente (2), e non solo dotti greci erano in tutte le case come maestri, lettori od amici (3), ma gli stessi Romani si recavano nella Grecia e nell'Asia, ad Atene, a Rodi a Mitilene ad udirvi i retori ed i filosofi più rinomati. Non paga d' aver tra le sue mura tanto numero di maestri, e tanta copia di libri greci quanta dalla Macedonia, da Atene, dal Ponto gliene avean portato Paolo Emilio, Siila (4) e Lucullo, Roma mandava ogni anno i suoi giovani alle scuole greche, e massime ad Atene ; dove sul principiare
   (1) « Ernie, scrive Sallustio di Catilina, e vale di ogni altro, post clommalioìiem L. Stillae lubido maxima invaserai capiundae reipublicae » in que' memorabili capitoli dove ci fa una così viva d pintura delle ambizioni e delle cupidigie di quel tempo.
   (2) Vedi pag. 99 il testo e le note.
   (3) Lucullo aveva in sua casa Antioco di Ascalona, filosofo academico rinomatissimo, il quale cercò di conciliare le dottrine di Platone coi dettami della scuola stoica, e fu maestro di Cicerone, di Varrone e d'altri illustri di quel tempo: M. Crasso, Alessandro poliisiore, f! Pisone Filodemo, e per tacer d'altri, Cicerone teneva in sua compagnia Diodoto, Lysone ed Apollonio, e M. Bruto Stratone, Posidonio ed Empylo.
   ('0 La biblioteca di Apellicone dopo la presa di Atene, come già fu detto alla terza nota del 111, pag. 98. Dopo le biblioteche vennero i bibliofili, come Cicerone e Varrone, poi i mercanti di libri, un de' quali fu Pomponio Attico. Colla biblioteca di Apellicone vennero a Roma la più parte delle opere di Teofrasto e di Aristotile.