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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo iii. —- seconda età'. 131
   rato per dinotare quel suono intermedio, che già si disse, nel settimo secolo e fin verso la fine dell' ottavo, ma nessuna delle numerose inscrizioni di quel tempo ci dice che la teorica di Lucilio sia mai stata applicata. Colla fine dell'ottavo secolo E I scompare anche dalle iscrizioni.
   Lie ora ci facciamo a considerare insieme l'opera di questi tre poeti riformatori, è facile vedere che la palma spetta ad Ennio, che solo vide i veri pericoli ond' era mi] tacciata la [ingua, ed al riparo corse con rirnedj veramente opportuni. Quindi suo e il mento d' avere col verso greco dato leggi chiare e costanti alla prosodia ed alla metrica latina, e sua la lode (l'aver fermato la progrediente distruzione delle vocali e delle consonanti, e mostrato ai Romani il modo di creare colle reliquie di un antico dialetto una lingua e per essa una letteratura. Gli altri due vanno lodati per ciò che 1 ennero ferm i principii posti da Ennio, e, sebbene non sempre con eguale successo, diedero opera ad appianare gli ultimi dissidii tra la scrittura e la pronunzia, e ad' impedire che altri ne sorgessero in seguito. Comunque non perfetta, l'opera loro fu utile perciò che tenne viva 1' attenzione dei Romani intorno a questi argomenti, e non permise che la lingua uscisse dalla carreggiata nella quale con tanta sapienza e fortuna era stata messa da Ennio.
   Ma se li' azione degli scrittori, e massime dei tre nominati, ebbe gran parte nel dar impulsa e norma alla formazione del latino, non è da credere eh5 rimanessero inoperose le natne virtù della lingua, o che si fossero d'un tratto piegate alla mano h d'uomo. Desse furono anzi più vive che mai, e i fatti lo attestano; solcliè procedettero in modo alquanto diverso dove sentirono il governo de( li scritt ri delle scuole, e l'efficacia di tutte insieme le condizioni di un vivere colto e civile, e do\e invece furono abbandonate a sè medesime tra gente rozza e plebea. Pertanto senza negar fede all< notizie dei grammatici che in questo secolo attribuiscono, per cagion d'esempio, a Scipione il mutamento dell'0 in E di vertere e di verlex : come* piìi tardi si fece Cesare autore dell' u cangiato in i, di libet, optimus e simili • noi Wremo vedere in esse nulla più che una tendenza, e quasi una consuetudine delle scuole, comoda per appiccare il ricordo dei fatti più notevoli della storia letterari ai nomi ed ai fatti più illustri della storia civile e politica. Nè Appio Claudio, nS Scipic e. nè Cesare sono essi gli autori di quelle novità che i postai vollero ! pe-tere da loro; essi non fecero che porre coli'autorità del nome il suggello a muta-zion che 1' aso avea già accettate e rese necessarie. Tale e non al » è il senso di queste e :h tutte h somiglianti notizie. Conseguentemente, se si salvi la giusta parte agli scrittori, la storia del latino in questa.età si compendia nella separazione dapprima e poi nella iotta della lingua urbana o nobile colla rustica o plebea. Non - )-melo ripetere ciò di che, preoccupando in parte i tempi, fu discorso nell'antecedente capitolo, poche considerazioni basteranno a far qui intendere come la division una volta principiata continuasse, senza che V una lingua cessasse però mai d'influire in vario modo sull' altra. Camminarono parallele, ma non disgiunte ; e si capisca, poiché almeno in Roma vivevano sullo stesso suolo e potevano di volta in volta essere usate a vicenda dalle medesime persone.
   Ci hanno in questa età tra la lingua plebea e la illustre due differenze : 1' una
   i cas dellt due declinazioni (Inst. Or. 1. 7. 18) : « Diutius duravit, ut EI jungendis cadcm ratione quagr 3ci zi uterentur: ea casibus numerisque discreta esl ut Lucilius pnecipit: Iam puerei venere, E voslremum facito atqml, Ut pueri plures fiant; ac deinceps idem: Mendaci furique addas E, cum dare flrei jasseris. Quod quidern cum supervacaneum est, quia I tara longae pi m brevis naturam .ìabet, tuni incommodum aliquando. Nam in iis, quae proximam ab ultima liter_.n E habe-bant e I longa terrainabaiilur, illam rationem sequentes utemur E gemina, qualia sunt hacc aurei, argentei e. his s ni Kque iis praecipue, qui ad lectionem instituuntur etiam impedimento erit». Si vtae chiaro che tutti i tentativi di raddoppiare le vocali rompevano contro foslicolo d'una pro-unzia e d'una scrittura già fatte, le quali non amavano di gravarsi d'impedimenti che non s u-dicavano necessarii.