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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo iii. —- seconda età'.
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   dicturi sumus ». E la consuetudine, seguendo alla sua volta il processo natur ale della lingua, nonché contrastare a quell'ufficio ed a quella tendenza dell'ortografia, più spesso li ajutava, come lo stesso Quintiliano ebbe da riconoscere in altro luogo (1. 7. § 11): «vorum ortìiograpina quoque consuetudini servit, ideoque saepe mutata est. » Quindi norma dell' ortografia era la pronunzia, tal quale si manifestava nella comune consuetudine del parlare. E col precetto, che fu così felicemente espresso da Quintiliano, concordava il parere e l'uso di Augusto, del quale ci narra Svetonio (c. 88) che seguisse l'opinione di coloro, i quali pensavano doversi scrivere cosi come si parla « ortliographiam.... non adeo custodit ; ac videtur eorum sequi potius opi-nionem, quiperinde scribendum ac loquamur existiment ». Fra i grammatici Velio Longo pronunziò con molta energia: non essere necessario esprimere colle lettere un suono che non è nella parola (non est necesse id scribere, quod in verbo non sonet), e Papiriano, che scrivere ad un modo e pronunziare ad un altro è da pazzo (aliter scribere et aliter pronuntiare id vecordis est). Cosiffatta era dunque l'ortografia latina; e ne'primi cinque secoli, finché la lingua fu un dialetto, noi la vediamo in que' pochi monumenti che ci restano seguire ciecamente le variazioni della pronunzia. L'uso era allora solo padrone, e nessun'autorità di persona, nessuna norma di ragione era per anco sorta a limitarne l'arbitrio.
   Ma le cose, per quanto abbiam già detto, non potevano andar sempre così, e col principiare dell'età letteraria, quando dall'antico dialetto latino due lingue si formarono in Roma, l'una dei rustici e delle plebi, l'altra dei dotti e de'gentiluomini, la ortografia per opera appunto degli scrittori e delle scuole si fece alla sua volta moderatrice della pronunzia, e senza scostarsene mai consegui di dirigerla e contenerla. Cominciò qui tra esse quella vicendevole azione, gli effetti della quale veggonsi a chiare noto segnati nella storia qua della fonologia, là della scrittura. E i più cospicui sono questi : uno che per le continue mutazioni della lingua parlata la scrittura riteneva tratto tratto i segni di suoni che già s'erano cambiati nella pronunzia, come a cagion d'esempio 1' u di maxumus, di lubido, V ai del genitivo singolare della prima declinazione, i quali nel discorso s'erano fatti i ed ae; e l'altro che allargando la lingua illustre mano mano il suo dominio, e diventando la norma del parlare e dello scrivere non più de'soli eruditi ma di tutte le colte persone, la pronuncia, nonché dar legge alla scrittura, la pigliava in molti casi e ne'più gravi da essa. Così ci vien spiegato 1' ufficio apparentemente assai ristretto che le scuole latine davano all'ortografia : ch'era di sciogliere di volta in volta i dubbj, e tór via con essi le occasioni di oscurità od ambiguità nel discorso. « Ars.... totam subtilitatem in dubiis habet» ci insegna ancora una volta Quintiliano (1).
   Se non che per siffatta guisa si venne sempre più allargando la distanza fra le moltitudini ed letterati, i quali avendo quasi dissi una pronunzia ed una scrittura loro propria poterono, per tutto il tempo che durò' la lingua e la letteratura classica, non curarsi di ciò che accadesse di quell'altra lingua, alla quale s'era fin da principio chiuso l'adito dei libri e delle scuole. Roma ebbe cosi una pronunzia ed una ortografia classica, che procedettero d'accordo e furono diligentemente osservate nelle scuole, negli atti e nelle publiche assemblee, come ne'geniali convegni della colta cittadinanza e nelle scritture degli oratori e de' poeti, fintantoché sul declinare della sua potenza i varii diomi delle plebi e delle provincie, che scuotevano mail mano il giogo dell'antica dominatrice, non ebbero uno appresso deli'altro preso il posto dell'unica lingua illustre, aprendo alla storia del prisco latino la via di nuove insperate vicende.
   Dopo un periodo più o men lungo di oscura elaborazione emersero allora nelle disgiunte region: della latinità pronunzie e scritture che ritraevano nelle loro dissomiglianze la stirpe, il carattere e la stona propria di ciascuna gente, mentre
   (1) Instilul, Or. I. 7. § 1. E fra i varii esempi che adduce son questi ; che, secondo alcuni grammatici si dovessero scrivere ad e cum preposizioni, ed al e quum congiunzioni