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libro I'rimo.
prosodia latina la summentovata disti aziono di sillabe lunglie e brevi ; senza la quale non c'era per gli antichi norma alcuna di 'pronunzia e di versificazione che potesse durare. Ed Ennio potè coli'esametro far tanto, per essere le leggi di esso cosi rigorose, che non permettevano mai che la sillaba lunga dell'arsi si sciogliesse in due brevi, e solo per amor di armonia o per necessità consentivano, che in certi piedi due brevi della tesi si componessero in una sola sillaba lunga (I). Onde il comune precetto scolastico, che 1' esametro si compone di dattili e di spondei, ma vuole di consueto che il quinto piede sia dattilo. E appunto lo spondeo differisce dal dattilo solamente per avere nella tesi una sillaba lunga al posto di due brevi (2).
Ognuno vede dunque da sè e facilmente, come per conservare l'esametro dattilico alla poesia latina occorresse stabilire una volta per sempre questa separazione tra le sillabe lunghe e le sillabe brevi, e ricondurre all'una od all' altra categoria que'suoni che fluttuavano incerti sulle labbra del popolo; poi riconoscendo, come si riconoscono i fatti compiuti, le alterazioni già accadute, opporsi a quelle che ancora si potevano impedire. Quindi rese lunghe le vocali finali che i volgo già veniva accorciando, come Ve di probe, Vi di domi, viri,Yo el'it degli ablativi della seconda e della quarta declinazione, quindi restituite quelle consonanti finali che il volgo non pronunziava, e i poeti comici nei metro non calcolavano.
Ma per discorrere convenevolmente delle riforme di Ennio e degli altri poeti di questa età, ci è mestieri connetterle con un altro e più vasto tema, cioè colla ricerca intorno all'ortografia, ed alla parte ch'essa ebbe fin da principio nelle vicissitudini della lingua latina. L' azione della scrittura sulla formazione d'una lingua è così evidente, che la storia di questa non si può anche per brevi capi descrivere senza dire alcunché di quella.
L'ortografia latina era fonetica, non etimologica, vogliain dire ch'essa faceva ritratto della pronunzia, colla quale si mutava d' età in età senza aver riguardo alla forma originale de' vocaboli. Non dava un segno all' occhio ed un suono diverso all'orecchio, ma quello era sempre, od almeno il più delle volte, la fedele imagine di questo. Così insegnarono, con assai pochi contradditori, i grammatici ed i maestri più autorevoli d'ogni tempo, ed ai loro insegnamenti aderirono di buona voglia illustri personaggi e scrittori. Difatti Quintiliano scrive nel primo libro della Istituzione oratoria (1. 7. § 30) : « ego, nisi quod consuetudo optinuerit, sic scriben-dum quidque jadico, quomodo sonut. Eie enim est usns litterarum, ut custodiant voces et velut depositimi reddant legentibus, itaque id esprimere debent, quod
(1) Le varietà estreme dell'esametro dattilico ci son date da due versi di Virgilio, l'uno tutto dattili :
ili iti
Quadrupedante putrem soni tu quath ungula campum ,
l'altro tutto spondei:
ili i i
111' mter se se magna vi brachia tollunt :
e rispondono a questi due tipi:
Ennio solo, eh1 io mi sappia, arrivò fino al verso tutto spondaico, scrivendo negli \nnali:
iti i / t cives Romani tuiic facti sunt Campani.
(2) Federico Ritschl nel secondo volume degli opuscoli filologici (pag. 883) osserva giustamente che il modo com'è trattata la tesi ci offre anche più sicuramente dell'arsi il criterio per discernere la metrica popolare e comica dalla classica. E distingue mollo acutamente nella storia di essa tic periodi : 1° La quantità della ìesi così indeterminata da potersi trascurare affatlo, e quindi sopprimere, come nel Saturnio; La tesi ancora indeterminata, ma non tanto da potersi sopprimere, come nei versi de'poeti comici; 3'» La tesi esattamente determinata, coinè ncH'esamelro datt 'ico.