Stai consultando: 'Storia della Letteratura Romana ', Cesare Tamagni

   

Pagina (138/608)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (138/608)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   122
   libro I'rimo.
   gue dell' ultimo grande oratore di Roma republicana. Quelle cause istesse clie la recarono a tanta altezza le prepararono in breve tempo la morte : parendo fatale elle quest' arte, la quale a sentenza de'maestri chiede per progredire la libertà insieme e la pace, 11011 possa aver l'una senza che sia miseramente spogliata dell'altra. Perciò i rostri si fecero silenziosi a Roma, quando alla pace del mondo importò che la somma delle cose venisse nelle mani di un solo. Non altrimenti dopo Cheronea l'eloquenza greca scendeva in quel medesimo sepolcro, che colle ceneri di Demostene raccoglieva 1' estremo e più strenuo difensore della libertà Ateniese.
   Alla giurisprudenza diedero opera in questi anni Quinto Elio Tuberone, lo scolaro prediletto di Panezio, e stoico ugualmente severo nella dottrina come nella vita; l'augure Quinto Muzio Scevola, e C. Livio Druso.
   Nei quaranta anni che corrono dalla uccisione do' Gracchi alla morte di Siila, la republica vide la nobiltà più che mai prepotente per la fresca vittoria dar brutto esempio delle sue avare cupidigie nella guerra giugurtina, della sua spietata ferocia nelle battaglie contro i confederati italiani, della sua insaziabile sete di domìnio nella oppressione delle moltitudini, che contava d'avere ancora per lunga pezza suddite ed obbedienti; ina vide anche le vendette di Mario, e i popoli italiani conquistare con lenti ma inevitabili successi un dopo l'altro i diritti di cittadinanza, e più che tutto vide il primo caso di un privato cittadino che si collocasse colla forza al disopra delie leggi, che riformasse a sua posta lo stato, ed il potere acquistato colla violenza deponesse non per ossequio alla libertà, ma per stanchezza. Dopo cosi sanguinose vittorie, la nobiltà potè veramente credere d'aver solidamente stabilita la sua dominazione; e difatti negli ultimi anni di questa età delia nostra letteratura, come nei primi e più splendidi della successiva, ella rimane più che mai signora della republica. Ma ¦niianzi che questa finisse nasceva Cesare, e l'altra non era anche cominciata che già i più previdenti vedevano risorgere in lui non uno, ma molti Marii.
   Però non ostanti questi vizii e l'altre cause, che ora non convien dire, di morale e politica decadenza, non ostanti i sinistri pronostici che molti già potessero fare intorno all'avvenire della libertà, giova confessare che la potenza di Roma fu in questo periodo grandissima, e par ad essa, anche fra le atrocità e le violenze di ogni maniera, l'altezza delle menti e la invitta vigoria degli animi. E le lettere, ajutate eziandio dalla diffusione ogni di maggiore della coltura nelle classi più cospicue della cittadinanza, dal desiderio sempre più forte d'imitare que' grandi modelli, sopra i quali la gioventù si veniva educando nelle scuole de'grammatici, de! retori e de' filosofi greci, favorita dall' autorità e dalla fortuna ognor crescente di quelli che avean preso a proteggerle e coltivarle, avanzavano sicuramente verso quella meta di floridezza e di splendore, che in non più che quarant' anni dovevano toccare con Cicerone, Cesare e Sallustio.
   Ci basti adunque, per essere brevi, menzionare tra gli storici di questi anni Q. Claudio Quadrigario, che cominciò il racconto non più dalle origini, ma dall'incendio gallico; Valerio Anziate, che per l'ampiezza dell'opera, se non per altr pregi che forse gli mancano, può essere giustamente chiamato l'antecessore di Tito Livio; L. Cornelio Sisenna, che scrisse una storia del suo tempo, e Licinio Macro, il quale se per la forma parve tornare alla maniera dei vecchi annalisti, e fece forse troppo larga parte nel racconto alle amplificazioni retoriche, ed al desiderio di llu-strare le gesta della gente a cui apparteneva, per la diligenza posta nell'investigare i monumenti meritò lode d' aver corretti parecchi errori degli altri storici (1). Tra coloro poiché dopo il bell'esempio dato poco tempo prima da Scauro, da Rutilio Rufo, da Catulo, non temettero narrare la propria vita vuol essere ricordato lo stesso Cornelio Siila, che in 22 libri compose i commentari! delle sue imprese dopo
   (1) Degno di menzione, per ciò che si disse nella prima nota della pag. 117, è pure L. Voltacilio Piluto, che scrisse le gesta prima del padre di Pompeo., e poi di lui che fu suo discepolo