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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   capitolo iii. —- seconda età'. 121
   risprudenza sono da nominare Manio Manilio, M. Giunio Bruto, Servio Fabio Pittore, ed in ìspecial modo P. Muzio Scevola, che fu console nel 621, e dopo il 631 Pontefice Massimo ; della quale carica si valse per chiudere la serie degl Annali Massimi, divenuti oramai inutili dappoiché tanti storici erano sorti a ricordare le patrie memorie. I i raccolse e ne compose un libro, che publicò. A questi vogliono essere aggiunti il fratello di Scevola, P. Licinio Crasso Muoiano (1), che fu console nel 622, e Cajo Marzio Figulo.
   Gli storici degli altri dieci anni, pochi eccettuati (2), hanno già lasciata la maniera degli antichi annalisti. Ili fatti C. Fannio scrisse assai verisinnlmente la storia del suo tempo, e s'ebbe da Sallustio bella lode di veritiero; L. Celio Antipatro narrò la seconda guerra punica con voce più alta e più tonante de' suoi antecessori, ma per difetto di arte o di sperienza si meritò che Cicerone lo tacciasse di gonfiezza (3) : più felice di tutti P. Sempronio Asellione vide per il primo tra i Romai i e dichiarò quale sia la materia e quali i veri fini della storia (4). La quale non deve soltanto narrare i fatti, ma dirci eziandio come e perchè siano avvenuti, etra i fatti degni di racconto comprendere insieme colle militari gesle anche le leggi del popolo e i decreti del senato. Chi ciò non faccia, dice egli, non iscrive storie, ma narra favole ai bambini. Già si cominciava a capire esserci una storia domestica dei popoli non meno importante di quella che celebra i trionfi de' capitani, registrando il nome delle terre prese e dei popoli conquistati. E questo progresso era dovuto alla novità delle cose che allora accadevano in Roma; le sorti della quale bene spesso più che da una battaglia vinta o perduta dipendevano dall'esito di una legge, che il popolo fosse per respingere od approvare, dalla saviezza di un senato-consulto o dalla temerità di un editto tribunizio.
   Primi tra gli oratori sono i ('tracchi, quegli stessi da cui questa breve ma procellosissima età piglia il nome ; e de' due per calore ed impeto di eloquenza lungamente superiore il più giovane fratello, Cajo Gracco: colla immatura morte del quale gran danno patirono, al dire di Cicerone, e le cose dì Roma e le lettere latine (5). Seguirono le parti dei Gracchi acquistando nome di oratori in questo tempo P. Crasso e P. Scevola, Appio Claudio che fu suocero di Tiberio Gracco, M. Fulvio Fiacco, C. Papirio Carbone e P. Pedo: stettero invece cogli avversarli T. Annio Losco, Q. Metello, P. Nasica, L. Pisene Frugi, P. Popilio, C. Fannio, Q. Elio Tuberone, M. Scauro e M. Livio Druso. C. Scribonio Curione, altro oratore di questi anni, non si sa bene da che parte stesse. Cosi nei primordi di questo secolo la libera eloquenza sorgeva ogni dì più vivace e poderosa tra quelle medesime lotte intestine, per ca-gion delle quali, innanz i che cento anni fossero trascorsi, doveva spegners nel san-
   (1) Fratello di Scevola, adottato da P. Crasso. Di lui dice Gellio (il 13.10) che avesse. quinque rerum bonarum maxima et praeeipun : quoi esset ditissimus, quod nobilissimi^, quod eloqven-tissimus, quod jurisconsiiltissimus, quod pontifex maximus. E Valerio Massimo ci ricorda come conoscesse un ad uno tutti i dialetti greci.
   (2) Sono Cn. Gellio, C. Sempronio Tudilano, Vennonio e Clodio Licino.
   (3) Cic. Leg. I, 2.8 «... Antipater pavio inftavit vehementms habuitque vires agrestis ille quidem atque hnrridas, sine nitore ac palacstra ...» e nel De Orat. II, 12. 5i: «pau-lulmn se erescit et addidit historiae majorem sonum vocis .... Antipater .... »
   (tì) Questa professione del chiaro annalista ci fu conservata da Gellio V. 18. 8. Nobis non modo satis esse video quod factum esset, id pronuntiare, sed etiam quo Consilio quaque ratione gesta essent demonstrare. Nam neque alacriores ad rempublicam defendtindam, ncque segniores ad rem perperain faciundnm annales libri commovere quidquam possunt, Scribere autem belluni quo inilum consule et quo modo confectuin sit, et quis Inumphans introierit, et quae eo in bello gesta sint, iterare: non praedicare autem interea quid senatus dccreverit aut quae lex rogatiove lata sit, ncque quibus consiins ea gesta sunt : id fabulas pueris est narrare, non historias scribere »
   (?f) Cic. Brut. 33,125 «... dauinum illius immaturo interitu rcs roinanae latinaeque literae fecerunt ».
   Tamagni. Letteratura Romana Jfi