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LIBRO I'RIMO.
m grazia del grande cittadino, e dai contemporanei di Cicerone non accettata, se, come egli medesimo scrive poche righe innanzi, nessuno allora più le ricordava e le leggeva (1). Diffatti la lingua ne era oramai troppa antica; ed uscite erano dell'uso o s'erano coll'uso arrotondate e forbite molte voci aspre ed orride, che in lui ancora s'incontrano perchè a quel tempo i Romani cosi parlavano. Fiorirono con Catone in questo secolo per gloria di prudenza civile e di cose operate in prò della patria, non meno che di eloquenza Fabio Massimo l'Indugiatore, Q. Cecilio Metello, M. Cornelio Cetego, P. Scipione Africano il maggiore, poi il padre de' due Gracchi, L. Papirio, L. Paolo Emiho : e più giovani di tutti C. Sulpicio Gallo e C. Tizio : chiari quegli per la vasta e profonda coltura (2), questi per essere anche stato autore di tragedie.
La giurisprudenza, che fu il ramo di lettere dove più si resero manifeste e di più viva luce rifulsero le proprie doti del popolo romano, che sono: senti mento inllessibile del proprio diritto, acutezza d'ingegno, senso pratico, amor dell'ordine e rigida osservanza degli usi e delle forme ; quest' arte, o scienza delle leggi che si voglia dire, la quale insieme colle armi e più di esse contrìbui a dare ai padri nostri la signoria del mondo, e per il maraviglioso ordinamento della città romana doveva d'età in età e quasi d'anno in anno seguire la vicenda de'bisogni e dello nuove condizioni sociali, non poteva non avvantaggiarsi alla sua volta dei progressi che facevano tutte le altre discipline. Difatti dopo la pubblicazione delle legis actiones (Jus Flavianum) con cui fu tolto ai patrizii il privilegio, fin allora gelosamente custodito, di conoscere essi soli i modi di far valere colla legge il diritto, a poca distanza di tempo noi troviamo due plebei giurisperiti, che sono P. Sempronio il Saggio e Tiberio Coruncanio (3). Ai quali nel sesto secolo succedono Sesto Elio Peto Cato celebre per aver publicato una raccolta consimile a quella di Flavio, detta dal di lui nome Jus Aelianum, ed anche Tripertita, perchè in tre parti conteneva le XII tavole, la interpretazione di esse, e le azioni di legge (4), ed il fratello di lui Publio Elio che fu console nel 552. Aggiungi Scipione Nasica (5), L. Acilio, Quinto Fabio Labeone, e M. Porcio Catone Liciniano, il maggiore figliuolo del censore.
E con questi nomi chiudiamo la serie già bella e numerosa degli scrittori del sesto secolo. Al secolo che gli succede era serbata la gloria di condurre a compimento l'opera sì bene incominciata, ed innanzi di giungere a Cicerone, da cui prende ìe mosse la terza età della nostra letteratura, abbiamo ancora degli illustri nomi e fatti da registrare. Nella poesia dramatica illustrarono questa prima parte del secolo settimo il tragico L Azzio, L Afranio e T. Quinzio Atta autori di comedi togate, e gli scrittori di Atellane L. Pomponio e Novio. Il primo compose in nove libi detti Didascalici, ed assai verosimilmente in tetrametri trocaici, anche una
(1) Chi non voglia trovare in quel passo del Bruto un'ironia, che sarebbe irriverente, non può altrimenti spiegarlo che con quel profondo rispetto che l'autore, aveva di ogni cosa antica, anche allorquando il suo sentimento di buon cittadino non si accordava col suo giudizio di oratore. Ed è degno di nota lo studio col quale, dopo aver confessato che la lingua di Catone è vecchia e talune parole orride, perchè così allora si parlava, si fa a dimostrare che mutandone qua e là la forma si poteva far di Catone un oratore impareggiabile.
(2) Cic. Brut 20. 78. « de nnnoribus C. Sidpicius Galtus maxime omnium nobilium graecis litteris staduit, isque et oratorum in numeio est habitus et fuit 'eliqids rebus ornatus atque degans ».
(3) Vedi per quest'ultimo il § 11, verso la fine
(4) Pomp. Dig. 1. 2. 2. 58. Sex Aelium etiam Ennius laudavit, et extat illius libor qui inscribitur Tripertila, qui liber voluti cunabula juris continet. Tripertita autemdicitur quoniam lege XII, tabula-rum praeposita jnngitur interpretatio, deinde subtexitur legis actio.
(B) « Qui 'optimus a senatu appellalus est (5o0), cui etiam publice domiis in sacra via data est, quo facilius consuli pusset». Pomp. Dig. 1, 2. 2. 37.