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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO III. — SECONDA ETÀ'. Ili
   Il primo e più antico annalista. Q. Fabio Pittore, scrisse in greco la storia romana da Enea a'suoi tempi, elle furon quell della seconda guerra punica; trattando l'antica in succinto, e più diffusamente quella di cui era stato testimonio o parte. Scrissero come lui in greco o tutti o parte degli annali romani L. Cilicio Alimento, che fu pretore nella seconda guerra punica e politico insigne, il senatore C. Acilio, ed A. Postumio Albino che fu console con L. Lucullo nel 003. Tutti, come si vede, uomini di stato (1).
   M. P. Catone fu il primo che scrivesse storia in latino, e che col suo libro delie Origini (Origines) ne allargasse il campo, estendendola da Roma all' Italia. Quindi non ci possiamo ingannare affermando che questi sette libri siano nsieine la prima storia ed il primo insigne monumento di prosa latina. Oltre 1' ampiezza maggioro del soggetto essi differivano dai comuni Annali anche perchè contenevano le intere orazioni dell' autore : del resto la narrazione vi segue lo stretto ordine de' tempi. E in questo rispetto le Origini sono Annali, come tutte sino all'ultima le storie di Roma.
   Anche 1' eloquenza, come mezzo di commuovere e di persuadere, di guadagnare una lite, e di vincere un partito od una legge dovette avere assai lontani principii, e tali da confondersi quasi colle origini sfesse della città; perocché di parlare alle moltitudini ci fu bisogno in tutti i tempi e presso tutti i popoli eziandio meno liberi e civili che Roma non fosse ne' suoi primordii (2). Ma per parecchi secoli più che dall'arte o dalla dottrina, i suoi successi dipendevano dall'ingegno e dall'autorità personale di chi parlava. Un uomo buono che sapesse parlare era nei primi secoli più che mai il tipo del perfetto oratore : e il titolo d'uomo buono si acquistava coli'integrità della vita, e colla fedeltà inconcussa a quelle massime colle quali s'era fin allora felicemente governata la repubblica. Dobbiamo quindi credere che, eccettuate forse le iodi funebri, le altre orazioni neanche si scrivessero e publicassero. Soltanto verso la fine del quinto secolo Appio Claudio Cieco publicò una sua orazione politica (3), ed anche Catone, che fu pure il più valente oratore del sesto secolo, publi-cava le sue orazioni dopo averle recitate, come si può fare di uno scritto politico. L' eloquenza adunque fu tutta ancora per questo secolo nella viva parola dell' oratore, il quale se consegnava allo scritto e dava in luce le opere sue, si lo faceva per ragion di partito non per desiderio di acquistar nome di letterato o per amore dell'arte (4).
   Ad ogni modo con Catone si apre una lunga ed illustre schiera di oratori. Ed illustre lu egli stesso, tanto che Cicerone non temette di paragonarlo con Lisia, cosi pel numero coinè pel merito delle orazioni, nelle quali, se pur qualche cosa era degna di biasimo, si ritrovavano però tutte le virtù oratorie. Lode data all'oratore
   (1) Sveionio nelle vite de' relori conferma Ioli autorità di Cornelio Nipote questo fatto, che fino agli ulti oii anni della republica nessun uomo se non nobilissimo avea scritto istorie. E primo
   a violar questa legge fu il maestro di retorica di Cn. Pompeo. « L. Voltacilius Piiutus......
   primm omnium libertinorum scrivere hisioriam orsus. non nisi ab ìionestissimo quoque scribi solitam ad hoc tempus ».
   (2) Più graziosa narrazione dei primordi della eloquenza latina non lessi mai di quella che ne fa Cicerone nel capitolo decimo quarto del Bruto.
   (3) Cic. Brut. 16. 61. « nec vero liobeo quemquam antiquiorem*cujus quidem scripta proferendo putem, nisi quem Appi Caeci orutio Ime ipso de Pyrrho et nonnullae mortiiorum lauda-tiones forte delectant. Et hercules hae quidem extant: ipsae enim familiae sua quasi ornamenta ac monumenta servabant et ad usum, si quis ejusdem generis occidtsset, et ad memoriam lauclum domesticarum et ad illustrandam nobilitalem suam ».
   (h) Di quclu che nelle età precedenti diedero in qusiche grave pericolo della republica prove di fortunata eloquenza , quali furono M. Valerio Dittatore nella prima secessione della plebe, e lo stesso Appio Claudio per avere dissuaso il Seiiato dalla pace con I'irro, di tutti costoro Cicerone dice ancora nel Bruto: » Sed eos orafores habilos esse, aut omnino tum ullum eloqiientiae praemium fuisse» nihil sane mihi legisse videor, tantmmnodo conjectura ducoi ad suspicandmn ».