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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   136 LIBRO I'RIMO.
   si chiude il ciclo dei poeti comici del sesto secolo. Scrittor di tragedie lodatissimo dopo Livio ed Ennio fu Pacuvio, lento e disadorno non tanto per la propria, come già si disse, quanto per la colpa de'tempi.
   Primo autore di commedie togate fu Titinio contemporaneo di Terenzio, al quale rassomigliava nella dipintura de'caratteri, mentre per la vivacità e la freschezza ricordava più il fare di Plauto.
   Passando dalla poesia alla prosa noi vediamo sorgere in questo secolo i primi scrittori di storia patria, come anche i primi oratori e giureconsulti che si resero degni di qualche rinomanza. Verso la storia erano i Romani portati naturalmente da quel desiderio, che già dicemmo, di serbare la memoria delle cose accadute a glorilicazion de'passati e ad ammaestramento dei viventi e degli avvenire; l'eloquenza e la scienza delle leggi sono così strettamente connesse colla vita di un popolo che tratta in pubblico tutti i suoi all'ari, da nou esserci quasi bisogno di sci-moli esteriori perchè siano coltivate e fatte progredire.
   Gli annali massimi, i fasti, i libri pontificali, i commentarii de're e de'magistrati per lo stato; e per le famiglie le imagini, le lodazioni funebri, i canti de'banchetti sono altrettante testimonianze di quanto vivo fosse il desiderio ed antico il costume dei Romani di conservare e tramandare ai posteri il ricordo dei passati avvenimenti. Però come in quasi tutta 1' antichità così anche in Roma la storia era legata da troppi vincoli colle ragioni dello stato e cogli interessi o colle vanità delle famiglie, per essere sempre e tutta sincera. La ricerca della pura e nuda verità non fu mai, neanche per i Romani, il proprio fine dello storico, che troppo spesso si accomodava a non conoscerla o ad alterarla se ciò poteva giovare alla patria, alla famiglia, al partito ed anche alla sua persona. La critica era dunque pressoché ignota, e fu invece assunta a suo tempo come potentissima ajutatrice a glorificare ed a commuovere la retorica. Ma per assai tempo i Romani conobbero ancor meno della critica l'arte di comporre e scrivere una storia ; nel che nocque loro moltissimo nel principio di questo secolo la lingua, disadatta ancora al racconto ed alla dimostrazione di un lungo ed ordinato seguito di avvenimenti. Quindi le prime storie scritte in greco ; fors' anche per essere allora questa lingua più nota e più diffusa nei mondo che la romana.
   Fino al termine della seconda guerra punica i Romani non pensarono che a preparare i materiali ed i documenti per la futura storia della nazione (1). Quelli erano le battaglie combattute con varia fortuna, ma con sempre eguale valore e costanza, in terra ed in mare contro i più formidabili nemici del nome romano, le discordie intestine che s'avvicendavano colle guerre esteriori, delle quali erano di volta in volta cagione o conseguenza, le conquiste e le grandi riforme della politica e del diritto : di questi fu già parlato. Dopo vinta Cartagine compajono le prime scritture storiche in forma di annali, dove i fatti si seguono uno appresso dell' altro in preciso ordine di tempo, come per appunto si trovavano registrati nell' albo de' pontefici e negli annuari dei magistrati (2). Gli scrittori di queste rozze cronache non aveano certamente bisogno d'alcuno studio ed artifizio : bastava non essere bugiardi. Ed essi formano la prima classe degli annalisti, narratori semplici, ma scarni, l quali come ce )i ritrae assai felicemente Cicerone: sine ullis ornamentis monumenta solum temporum, hominum, locorum, gestarumque rerum rcllquerunt.
   (1) Mommsen. (St. R. 1.922) osserva che quando il bisogno di una storia si fece sentire, le mancavano in Roma le forine dello seiivere ed un pubblico per leggerla, e si richiedeva molto tempo ed ingegno per superare queste diflicollà, le quali furono in certo modo girate , essendosi la storia nazionale scritta in versi latini ed in prosa greca.
   (2) Cic. de Or. II. l ì 52. eral /ustoria nthil attui ni sì annalium confeclio. E Sempronio Asel-hone in un passo che ci occuperà più tardi: Annales libri tantummodo quod factum, quoque anno gustimi sii, id dononslrabant; id eorum est, quasi qui diarium scribunt, quam Graeci éfnueptSx vocant.