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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO III. —- SECONDA ETÀ'. 115
   E leggendolo anche oggi, noi che dalla scuola siam cresciuti nell'ammirazione della lingua e della poesia di Catullo, d'Orazio, d'Ovidio e di Virgilio, dobbiamo pur riconoscere che mal si saprebbe imaginaro un linguaggio più vario, più naturale e più efficace del suo per parlare al popolo dal palco scenico. 11 vero è che 1' anima di quel popolo si era insieme colla lingua trasfusa nel poeta; il quale da natura avea più eh' altri sortito V ingegno d'intenderlo, e di dilettarlo, rendendogli sulla scena l'esatta iinagine de'suoi vizii, delle sue virtù e fin'anche delle sue parole.
   Cresciuto in casa di senatori, famigliare di Lelio e degli Scipioni, e straniero d'origine, non chè a Roma, all'Italia P. Terenzio non poteva recare sul teatro la vivacità e la fresca vena di Plauto, ma fu in compenso scrittore più sobrio e più forbito, onde meglio che al popolo, il quale ricusò parecchie volte d'udirlo, piacque a quel circolo di letterati e di gentiluomini coi quali, finché fu in Roma, menò la vita. Egli ci lascia quindi un chiaro monumento di quella lingua già più scelta e corretta che allora si parlava nelle case do'patrizii, e che correva gran pericolo di guastarsi già nell'età di Cicerone quando pur la letteratura toccava il sommo della sua grandezza. Alla lingua di Terenzio le altre età ben poco poterono aggiungere ; tanto nella sua naturalezza è meditata e perfetta nella sua eleganza.
   Ed è cosa singolare che mentre nei poemi narrativi e nella tragedia la lingua e lo stile durarono lunga fatica a divenire così sciolti e maneggevoli, come sono nei poeti del secolo d'Augusto; onde ne'frammenti di Ennio, di Pacuvio e d'Azzio desideriamo assai volte la rotondità e la scorrevolezza dei versi di Ovidio e di Virgilio, e nemmeno sulla fine del settimo secolo Lucrezio potè spogliare interamente i suoi carini della durezza antica: mentre, dico, questi che sono i generi più alti e squisiti della poesia stettero tanto a raggiungere la perfezione della forma, nella commedia invece essa fu trovata si può dire sul bel priucipio, e Plauto e Terenzio usarono la più bella lingua che mai risuonasse sulle scene Romane. Tanta fortuna toccata alia sola poesia comica fu dessa merito dei poeti o dell' arte, che come più vicina alla vita reale poteva dalla conversazione di ogni giorno prendere i modi e le parole de' suoi personaggi? Degli uni, io credo, insieme e dell'altra: perocché so si può dire che solo il fortissimo ingegno di Plauto ed il buon gusto di Terenzio potevano darci la lingua del Trinummo e dell'Andria, è però anche vero che essa rendeva assai dav-vicino l'imagine del comune parlare ; dal quale dovevano invoce scostarsi per gran tratto la lingua e lo stile sublime della epopea e della tragedia. E ciò valga a far sempre più chiara la verità di quella opinione, che le sorti del teatro comico fa in tanta parte dipendere dalle sorti della lingua nazionale.
   Dopo Plauto e Terenzio viene per inerito tra gli scrittori di comedie Stazio Ce-cilio, il quale per essere insubre fu da Cicerone giudicato modello non buono di latinità ( l). Dai critici del tempo d' Orazio, che ne riferisce i giudizii con mal simulata ironia, egli fu lodato per la gravità, e Varrone lo mandava innanzi a tutti per la scelta degli argomenti (2). Dell'età di Cecilie sono Trabea, Atilio, Aquilio e Licinio Imbrice: contemporaneo e rivale invidioso di Terenzio fu Luscio Lavinio (3). che solo a questo suo brutto vizio deve forse quella poca memoria che di lui resta nel mondo. Con Turpilio, che ne' pochi frammenti ci mostra anche maggior vivacità di Cecilin e di Terenzio, ed una lingua ricca di modi e forine popolari, e coi nomi meno noti di G-iovenzio, di Valerio, di Q. Fahio Labeone e di M. Popilio Lenate (4)
   (1) Cic. ad Alt. VII. 5. 10.
   (2) Cicerone non dà per avventura dei suoi talenti drammatici un così cattivo giudizio come della sua latinità, ma si accontenta di chiamarlo forlasse summus cmnicus.
   (3) È questi 1 vecchio malevolo poeta del quale si duole Terenzio in quasi tutti i prologhi delle sue comedie,
   (4) I due (fttirai ti sono noti come autori di commedie solo per un p?sso di Svetonio nella vita di Terenzio, che dico: «Sontra Terentium putut... uti potuisse... Q. Fabio Labeone et M. Popilio, tonsillari ulroque et posta ».