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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   112 LIBRO I'RIMO.
   la quale col progredire della civiltà avea sommerso la uguaglianza dei diritti nella disuguaglianza dei meriti e della fortuna.
   I cunei erano segnati con nomi. Cosi, per es. nelle file de' cavalieri vi era il Cuneus juniorum, che fu detto dopo la morte di Germanico Cuneus Germanici, e fors'anco ornato^ della statua o del busto di quel glorioso condottiero. A questi nomi e statue si riferiscono le tessere (1), che entrando in teatro venivano distribuite agli spettatori. Da molte di queste tessere giunte fino a noi, che da un lato portano una statua, dall'altro un numero, possiamo congetturare che quella dinotasse il cuneo, questo la Ala. Munito della tessera lo spettatore era condotto al suo posto dai designatores, cui a tutela dell'ordine, che ne'teatri era facilmente turbato, facevano scorta i littori.
   II magistrato che dava gli spettacoli assoldava la compagnia comica; le paglie di queste compagnie (merces, lucar) crebbero d'età in età col cresciuto favore de'ludi sceuici. Roscio, se stiamo a Cicerone, guadagnò in 10 anni 1 milione 200, 000 franchi, e Macrobio narra che pigliasse per sè solo 800 lire al giorno. Le compagnie (greges, catervae) erano condotte da un direttore che meglio può dirsi padrone (dominus gregis); il quale ben sovente era il primo attore (actor primarum), come prima di Roscio fu, per dirne un altro, l'Ambivio Turpione delle commedie di Terenzio. 11 direttore stimava la commedia o tragedia che si voleva rappresentare, e il prezzo ne veniva pagato al poeta dal magistrato: che aveva però diritto di ripeterne la restituzione dal direttore se la commedia fosse stata fischiata. In compenso di questo rischio il capo-comico acquistava la proprietà del drama, e poteva rappresentarlo a suo piacimento in Roma e fuori. Un notevole esempio di coraggio e di amore dell' arte dramatica fu dato da Ambivio Turpione, il quale, con getto anche delle sue ragioni, seppe ottenere l'onore della recita a commedie già più volte cadute. Cosi egli salvò le prime commedie di Cecilio, e tre volte portò sulla scena la Suocera di Terenzio. Del resto non è da credere che un magistrato romano siasi mai valso del suo diritto per farsi rendere dal capo-comico il prezzo d'una commedia fallita, che per quanto fosse alto era sempre un nonnulla al paragone delle somme che costava tutto insieme lo spettacolo. Quel diritto voleva piuttosto dire un pegno che il capo comico dava al magistrato, e questo al publico, del buon esito della rappresentazione. Al quale uopo si dava anche una prova, cui assisteva il magistrato. D'una censura letteraria nel primo secolo non è fatta menzione da alcuno scrittore ; solo da un passo di Cicerone possiamo raccogliere che qualcosa di simile vi fosse al suo tempo (2).
   (1) Fino a pochi anni addietro gli archeologi credevano di possedere una tessera teatrale, che si diceva trovala a Pompei, e portava la leggenda: Cav. II. Cun. III. Grati. Vili. Cosina Plauti. Ora la storia di questa tessera ti offre un curioso esempio degli errori n che possono cadere anche i più valenti erudili. Essa è falsa. Data fuori la prima volta dall'abate Domenico Romanelli nel suo Viaggio a Pompei, ecc. non per ingannare alcuno, ma per spiegar meglio ai lettori il modo com'egli credeva che le tessere fossero fatte, fu dall'Orelli accolta nelle sue Iscrizioni, e da lui la presero i filologi tedeschi, che credendola sincera la inserirono per alcun tempo nei Manuali d'Antichità (Vedi per es. Lùbker, Real Lexicon: ed anche il Dizionario di A. Rich.). Ma il chiarissimo Ilenzen il quale in un discorso tenuto a Roma nel l'aveva ammessa per genuina, ne' supplementi all' Ordii fatti alcuni anni dopo ne riconobbe e confessò la falsità, quale era stala dimostrata da 1. Momnison negli Ana-letti epigrafici (Berichle d. siiclis (ics. d. Wissensch. 1849, p. 286). Oggimai non se ne tiene più alcun conto. Lo stesso Mommsen,messa in disparte questa tessera, ne cita ivi un altra tratta dagli scavi dell'Anfiteatro di Prosinone, e publicata nel Bollettino dell'Istituto di corrispondenza archeologica, 1830, pag. 263: la sola tessera, die'egli, a sè nota, che nomini effettivamente un Cuneus. Essa è quadrilunga, d'avorio, scritta da due lati a questo modo : nel diritto o davanti CVNV. I. PI X, e nel rovescio o di dietro VIII. Che Mommsen lesse: Cuneo sexto inferiori, (gradii) decimo, (loco) octavo.
   (2) Cic. Ep. VII, 1. scrivendo a M. Mario per rallegrarsi con lui che non sia venuto a Roma a vedere i mimi datisi nel consolato di Pompeo, dice: « Reliquas partes dici consumtm iis delecla-tionibus quas libi ipse ad arbitrimi iiium comparares, nobis autem erunt ea perpelienda quae. Sp. Maecius probavisset'».