Stai consultando: 'Storia della Letteratura Romana ', Cesare Tamagni

   

Pagina (125/608)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (125/608)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   CAPITOLO III. — SECONDA ETÀ'. 109
   alcuna separazione d' atti o di scene, se Donato ben soventi si lagna della difficoltà che trova a distinguere quelli e queste, e se a farci accorgere come e quando l'atto sia finito ci potè dare questo solo sicuro precetto : di guardare se la scena è vuota. « Est attente anùnadvertendum ubi et quando scena vacua sit ab omnibus personis, ut in ea ciiorus (nella tragedia) vel tibicen (nella commedia) ardiri possit: quod quum viderimus, ibi aduni esse finitum debemus agnoscere ».I cinque atti succe-devansi in modo che il primo contenesse l'introduzione (-póvaaig), dal secondo al quarto si annodasse l'intreccio (sTri-aa-tc), che scioglievasi poi nel quinto colla catastrofe (xaras-pj^). Nel prologo si esponeva il soggetto del drama, quando, come nella parabasi dell' antica comedia attica, il poeta non se ne valesse per discorrere al publico de'proprii affari. Esso veniva recitato, senza ornamento di foggie teatrali, da uno degli attori oppure dal capo della compagnia ; coni' è soventi il caso nelle commedie di Terenzio. Il prologo non precede però sempre, come parrebbe ingiungere il suo nome, il primo atto: nel Miles gloriosus di Plauto è detto da Pale-strione al principio dei secondo, nella Cistellaria viene alla terza scena del primo. Se coli'andar del tempo, ed anche dopo la morte dell'autore, si facevano nuove rappresentazioni di un drama, si componevano all'uopo nuovi prologhi: e di tal fatta sono la più parte dei prologhi di Plauto. L'epilogo consisteva nella parola: plaudite, che veniva pronunziata dal cantore : ultimo personaggio della commedia e però segnato in alcuni manoscritti colla lettera w (1).
   I personaggi dei drama romano (sia commedia o tragedia) come del greco non dovevano di regola essere più di tre: raramente quattro... nec quarta loqui persona laboret (2). Però gl edili romani guardavano meno allo spendere dei coregi d'Atene, e concedevano al poeta anche un maggior numero di attori; così delle venti commedie di Plauto due sole hanno giustamente tre attori, otto ne richiedono almeno quattro, le altre dieci almeno cinque; e delle commedie di Terenzio due vogliono quattro attori, due cinque, e due sei. Considerando da chi e perchè si davano a Roma i giochi si capisce facilmente quel che dice Donato : che gli scrittori latini complures personal in fabulas introduxerunt, ut speciosiores frequentici facerent. Le togate, forse per l'umiltà dei soggetto e per l'intreccio più semplice, aveano bisogno di meno attori. « Latinae fabulae, dice Asconio, per paueiores agebantur personas».
   Circa le maschere, quantunque l'origine ne sia, come s' è visto, antichissima, non abbiamo per le varie specie del drama notizie ugualmente chiare. Sembra che dapprincipio gli attori facessero uso di parrucche, col vario color delle quali distinguevano l'età e la condizione. Bianche (grigie) erano de' vecchi, nere dei giovani; rosse dinotavano lo schiavo. Quindi, secondo alcuni; la maschera fu portata la prima volta sulla scena da Roscio Callo, che con essa avea voluto nascondere gli occhi torti ed il volto deforme; secondo altri invece furono primi a mascherarsi Cilicio Falisco nella commedia, Minucio Protimo nella tragedia. Da queste varie e non ben salde testimonianze de' grammatici due cose appaiono chiare, e sono: che la maschera era già usata nel sesto secolo, tantoché L. Ambivio, di cui dovremo parlare fra non molto, potè rappresentare con essa gli Adolfi di Terenzio nel 594, e che una volta introdotta, l'usarne divenne regola costante del teatro. Potevano però gli attori, a piacimento del publico, essere costretti a deporla.
   I ludi scenici erano a Roma una parte, e non sempre la più importante, di que' publici giochi, coi quali il popolo signore del mondo rendeva onore alla memoria de' numi e degli eroi da' quali ripeteva la sua grandezza. Era una lunga serie di feste, ciascuna delle quali ricordava un gran fatto della storia nazionale: care alla moltitudine, di cui satollavano l'innata brama di spettacoli, non piacevano meno agli
   (1) Ritschl. Proìegom ad Trin. pag. XXX. « Quae postrema persona prodit Plaudite recitans, ilem postrema litera, quae est a vel ci— in Terenlio eonstanter significala est».
   (2) Diomede p. 491. -5. Keil personac diverbiorum aut duac aut tres aut raro qualtuor esse debent, ultra aligere numerimi non kmJ.