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LIBRO I'RIMO.
ancora dal racconto di Livio, eseguiti dalla medesima persona. L'attore esprimeva il senso del monologo colla mimica; i versi erano cantati da uno o più cantori sopra un' apposita melodia accompagnata sempre dal suono di due o più flauti. « Diverbio,, dice Donato, liistriones pronuntiabant; cantica vero tempcrabantur modis, non a poeta sed a perito artis musicae factis >¦>. Le cantate della comedia erano eseguite dal pylhautes, e la musica era scritta da un compositore, che vien sempre nominato nelle didascalie (1) delle commedie. L'accompagnamento facevasi, come dissi, con due flauti (tibiae), che sj chiamavano destri (dexterae vel lydiae) quando avevano suono grave, profondo, e si suonavano dalla parte destra della bocca; sinistri o sarraui (sinislrae vel Sarranae), quando avevano suono acuto, giocondo. Un suono di sole tibie destre o sole sinistre dicovasi : tibiis paribus ; se i due suoni si riunivano : libiis ìmparibus Ed era un suono misto di grave e di giocondo. Quest' era la prima semplice musica della commedia latina, la quale col tempo degenerò tanto da far deplorare a Quintiliano eli' ella avesse distrutti gli ultimi resti di virile robustezza nè petti de'suoi contemporanei (2).
Che i Romani non avessero il coro a modo dei Greci s'intende anche soltanto da questo, che 1' orchestra ne' loro teatri era occupata dal Senato. Ma che più persone convenissero a cantare insieme sul palco (catervae atque concentus), stanno a provarlo chiare testimonianze di Cicerone e d'altri scrittori; e giova poi credere che i più antichi scrittori di tragedie avessero conservata una tal quale sembianza anche del coro greco, non foss' altro per restare fedeli agi originali che traducevano (3). Ciò che Orazio narra di Lucullo nella sesta epistola del Libro II, che pregato di dare cento clamidi pel teatro stupì alla inaspettata domanda e temette di non poterla esaudire, poi cercando tra le suo vesti ne trovò cinque m^a; questa graziosa storiella, alla quale fa chiaro riscontro un passo di Plutarco, pare tolga ogni dubbio sull' esistenza di cori o, comunque si voglian chiamare, di numerose schiere di cantanti anche nel drama latino.
Mentre è molto probabile che i mimi non fossero assai volte più che un seguito di danze e di canzoni, troviamo invece delle commedie che ne mancano affatto, e valgano ad esempio il Miles gloriosus, il Persa, e fors' anco l'Epidicus di Plauto. Del resto i metri più frequenti del dialogo, sia nella commedia, sia nella tragedia, sono : il sena-rio giambico ed il settenario trocaico; nelle cantate, oltre questi, si succedono con eguale vicenda anapesti e cretici.
Neil' antica commedia attica ed anche nella media gli intervalli erano riempiti dai canti del coro, nella nuova dal flautista; quindi da essa soltanto può aver avuto origine la divisione del drama in atti, della quale non è parola in Aristotile, e fu, a quel che pare, eretta in legge soltanto dai Grammatici d'Alessandria. Da cUj. la tolse Orazio, scrivendo nell' arie poetica quel suo precetto, che doveva durare fino ai giorni nostri :
Neve minor neu sit quinto productior actu Fabula, quae posci vult et spedata reponi.
Però gì originali manoscritti di Plauto e di Terenzio non debbono aver contenuto
(ì) Ne* titoli delle commedie di Terenzio il compositore di musica^è [sempre un tal Fiacco di Claudio (Modos fecit vel modulant Flaccus Claudi).
(2) Quint. I. 10, 31. « Musica quae nunc in scenis effeminata et impudicis modis fracta, non ex parte minima, sì quid in nobis virilis roboris manebat, excidit». E già un secolo prima Cicerone avea espresso una simile lagnanza (De legit. II. 13. 59). « Illa quidem theatra quae solebant compievi jucunda s navi tede Livianis et Noevianis modis, nuìic ut eadem exsidtant, ut cervices ocu-losque pariter cum modorum flexionibus torquent».
(3) Che il coro fosse considerato come una parte essenziale della tragedia si fa evidente dai moHi luoghi delle epistole di Orazio, dove ne sono con lucida brevità descritti gli offizi' Essi sono Epis. II. 1, 134-7. 3, 103- 204, 283.