106 LIBRO I'RIMO.
zionale. In mancanza, come s'è detto, di una ricca e splendida mitologia, come fu quella che tanta materia di caratteri e d'azioni tragiche porse agli scrittori ateniesi, Nevio, Ennio, Pacuvio, Azzio e quanti altri in ogni tempo si provarono in quest'arringo, presero i soggetti dai personaggi della storia. In tal modo nacquero, per limitarci agli esempi di questo secolo, il Romolo di Nevio, l'Ambracia e le Sabine di Ennio, l'Emilio di Pacuvio, il Decio ed il Bruto di Azzio. Nella forma e nel carattere la pretesta seguiva le orme della tragedia greca : soltanto l'intonazione doveva, per la diversità del soggetto, essere alcunché meno elevata.
La prima e più antica varietà della commedia fu la palliata, tolta di pianta dal greco ed in ispecial modo dalla nuova commedia attica (1). Essa empie di sè tuttoil sesto secolo, del quale forma la più bella gloria ed il maggior titolo alla riconoscenza degli amatori delle lettere latine. Andronico, Nevio, Plauto, Ennio, Trabea, Atilio, Licinio Imbrice, Giovenzio, Stazio Cecilio, Luseio Lavinio, Terenzio, Plauzio, Tur-pilio : tanti autori di favole palliate in una medesima età ci provano e le buone attitudini dell'ingegno latino per quel genere di poesia, e il favore onde fu ne'suoi primordii accolto dal publico. Ben a ragione adunque Orazio attribuì alla poesia dramatica l'onore d'aver portato in Roma l'arte greca, e dato con essa l'impulso e la cagione alla letteratura nazionale (2). Però è tanto connaturale a questo genere di poesia l'essere popolare, che il favore del publico la venne abbandonando man mano clie essa, per lo studio di una forma più perfetta e per restare più fedele ai modelli greci, cessava di ritrarre le azioni, i caratteri e perfino il linguaggio proprio de' contemporanei. Il posto dello palliate fu così a poco a poco ripreso dai mimi e dalle atellane, ed eccezione fu fatta, in grazia del merito singolare de' componimenti e dell'alta fama degli autori, soltanto per le commedie di Plauto e di Terenzio, le quali ancora nell'età imperiale venivano di quando in quando portate sulla scena.
L'antica commedia attica era stata troppo strettamente connessa colie peculiari oondizioni e con que'procellosi tempi della republica ateniese, era stata troppo politica, ed eziandio troppo libera nell' offesa di ogni qualità di persone, perchè potesse venir in mente a qualcuno di trasferirla in Roma. La media era una forma transitoria, e però la nuova commedia, la quale nel sesto secolo teneva ancora il teatro, era la sola che per l'indole sua più generale e , son per dire, più umana si prestasse alla imitazione. Costretta dalla signoria macedonica a non toccare la politica, essa si era data a riprodurre i caratteri e le situazioni più spiccate e insieme più comiche della vita domestica, e avea creato dei tipi che s'attagliavano così bene a Roma come ad Atene. Padri avari, figliuoli leggieri e dissoluti, schiavi furbi e raggiratori, meretrici che uccellavano all'oro ,iù che al cuore de'giovinotti, soldati vanitosi, parasiti affamati ; tali sono con qualche rara figura di vecchio onesto o di giovane dabbene i più costanti caratteri della commedia, che Plauto e Terenzio misero in tanto onore presso i Romani. E non trovarono guari difficoltà a renderli graditi, e ad ottenere per essi i plausi del publico, perche ad Atene come a Roma rappresentavano al vivo la disposizione ognor crescente degli animi verso costumi molli e rilassati. Lo scetticismo morale, il tedio od il disprezzo delu obblighi una volta si cari e sacri del matrimonio e della famiglia, onde i lagn e le contumelie sì frequenti de'mariti in verso delle mogli, gli inganni de'figli a'padri, de'servi a' padroni, gli amici mezzani di turpi tresche agli amici, e da per tutto lo scherno impudente degli Dei: questi ed altri segr) d'una civiltà che si corrompe, e d'un popolo che vien consumando in una viziosa quiete gli ultimi resti della sua energia, e de' suoi vizi ride e si compiace, ritraevano al certo più fedelmente la società ateniese che non la romana di que'tempi, dove ben molto faville della antica virtù vivevano ancora ed erano preste ad accendersi. Saremmo quindi nel vero deplorando
(1) Dionied. III. p. ftsJ f. P. = 489,18. K: graecas fabulas ab habitu palliata9 farro ait, nominavi. La palliata però cliianiavasi anche semplicemente commedia, e comici i poeti.
(2) Epist. 11. 1, 161, ecc.