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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   LIBRO I'RIMO.
   l'ordito di una commedia, quando Livio di Taranto ai lazzi ed alle feste improvvise degli attori italiani innestò azioni e caratteri tolti dalla scena ateniese Fu questa l'ultima e la più grave trasformazione del teatro, che fece tornare la gioventù romana ai suoi giochi ed alle sue feste, lasciando il drama greco agli istrioni, gente venuta, com' esso, dal di fuori, epperò privata d'ogni onore e diritto di cittadinanza.
   Di qui ebbe principio la separazione tra il teatro nazionale, cominciato colle satire e proseguito dappoi in ispecial modo colle atellane, ed il teatro greco dove regnava sovrana la commedia palliata.
   Le satire (1) procedettero direttamente dalla licenza fescennina, ed erano una forma ancora rozza ed incompiuta di quel genere dramatico che ci si otfre già perfetto nelle atellane, per tornare cogli stessi caratteri nella nostra commedia dell' arte. Que' giochi, che ne' fescennini si facevano da vere persone pei campi e per le pubbliche strade (2), trasportati in progresso di tempo insieme colle danze etru-sche sulla scena vedevansi ripetuti nella satira dagli istrioni, finti personaggi che in poche e spiccate figure riassumevano le varietà più attraenti e più ridicole degli usi e del carattere nazionale. E quando Livio Andronico inserendo nella satira la favola greca n' ebbe mutato indole e forma, e d'un giovanile e nazionale passatempo fattane un' arte che veniva esercitata da forestieri, i giovani romani rividero l'i-magine sincera ma più finita de'loro giochi nelle atellane, che presero dagli Osclii e non vollero fossero mai contaminate da uomini, che le leggi escludevano dalla comunanza dei diritti e degli obblighi civili. Tra i fescennini, le satire e le atellane corre dunque quella stessa comunanza d' origine e somiglianza di tratti, che univa tra loro le popolazioni della media e della meridionale Italia. Oschi e Latini eran fratelli; e che le atellane si denominassero da una città osca, e portassero sempre il nome di commedia osca (genus. ludorum ab Oscis acceptum) ciò vuol dire soltanto che là trovò più favorevoli condizioni per venir prima e meglio a ma-turanza quel frutto, i germi del quale erano deposti nell'indole e nelle usanze di tutte le genti sinceramente italiche (3). E se la satura romana fu dall'importazione della commedia greca impedita di diventare dramatica, e dovette sulla scena
   (1) L'origine, il nome e l'indole vera dell'antica satira, sono altrettanti punti oscuri nella storia delle lettere latine. Noi dovremo dirne diffusamente più tardi, onde qui mi accontento di esporre i varii pareri degli autori. Diomede III. p. 483, P. (483. K) scrive: Satira dieta sive a Satyris, quod similiter in hoc cannine ridiculae res pudendaeqae dicunlur, quae velut a Satyris proferuntur et fiimt; sive satura a tante, quae referto, variis mullisque prìmitiis in sacro apucl priscos dis in-ferebatur,.., sive a quodam genere farclminis, quod multis rebus refertum Saturam dicit Farro vocitatum. La seconda interpretazione parve ai più e per lungo tempo la più vicina al vero; appunto per essere la satira una mescolanza di molte cose, una farragine, come tre secoli dopo l'ebbe a chiamare Giovenale. Mommsen tornò alla prima, ma per darle altro significato. Egli non vide nella Satura più che una mascherala, una canzone di Carnevale, e credette volesse dire propriamente il metro di quella canzone, che era come tutti sanno il Saturnio. Io credo con Teuffel che, senza assottigliarlo davvantaggio, il senso della voce satura emerga chiaro dal confronto colla nostra farsa, che pur vuol dire, un pieno, un po'di tutto. E tale essa era difatti: chè nell'origine conteneva diverbi, cantilene, gesti insieme commisti; e l'argomento era sempre cosi vario e libero come può essere un'improvvisazione all'aria aperta, nella calda allegria della vendemmia. Qi ndi purché si rifiuti soltanto la derivazione del vocabolo e della cosa latina dal vocabolo e dalla cosa greca, purché si salvi insomma l'originalità della sutura, tutte le due interpretazioni di Diomede hanno un punto di veri-simiglianza.
   (2) Corssen, p. 149.
   (3) L'osco aveva tra le popolazioni italiche speciale rinomanza di impudico e dì scurrile, onde è facile intendere che Atella potess quanto a ffatto genere di ridicolezze avere da noi la stessa fama di Abdera nella Grecia. L'osco era il buffone per eccellenza ancora ai tempi di Orazio, come si può vedere nella burlesca gara di Sarmento e di Messio Cicirro, che alla gioconda comitiva di Mecenate rallegrò il desinare nella ricchissima villa d Cocceio.