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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO 11. — PRIMA ETÀ'.
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   t,azione delle persone, nel mezzo dei versi asinarteti, e nelle forti pause del discorso. Un iato particolare, e che fu primamente veduto e spiegato da Fleckeisen (1), è quello che si fa tra la vocale lunga di un monosillabo e la iniziale breve del vocabolo seguente. La liliale lunga scende al valore di una breve, e spesso fa nel giambo la prima breve di un'arsi, negli anapesti e ne' dattili la prima breve di una tesi. Tali monosillabi sono i pronomi me, tu, te, mi, mei, qui, quae, quo, quoi, ii, la preposizione de e la congiunzione si. Basti l'esempio di Plaut Ampli. 655.
   Quaé me amat.
   e di Orazio. Sat. 1. 9. 38.
   w t
   Si me amas.
   Ecco una prima variazione che V arte fece alla pronunzia popolare. Altre ne vennero aggiunte in seguito dai poeti, che si possono vedere in ogni trattato di metrica, e per le quali a poco a poco le sillabe, e con esse i piedi, riacquistarono in tutto od in parte la loro quantità.
   Confrontando le elisioni latine colle greche, si vede confermarsi nuovamente quello che già dissi in addietro, cioè, che mentre la lingua greca, ed in particolar modo il dialetto jonico, adoperava a serbare intatto il suo vocalismo, la lingua romana tendeva invece ad assottigliarlo, fondendo insieme, quanto più poteva, le vocali finitime. Perciò mentre i cantori omerici proferivano: $r,iòbìv7siimrtt
   istrioni di Plauto e di Terenzio pronuii .-avano le voci: pluruma, priscus, bis, ter, fortassis, edepol, senza nemmeno sospettare che desse fossero una volta state: ploiusuma, praiiuscus, dviiens, triiens, forte — an — si — vis, e — deus — Po-ludeuces.
   Ed alla necessità di adattare le voci latine al metro greco, cume in genere all'influsso della lingua e della coltura greca sulla propria, vanno i Romani debitori di quella reazione letteraria, che cominciata con Ennio, e compiutasi con Orazio e Virgilio, pose in salvo quella parte d'antiche voci e forme, che il dialetto non aveva ancor finito di distruggere ; e costringendo entro più angusti limiti la sineresi e la sinalefe, rese possìbile la formazione di quella bella lingua latina, che oggi noi ci contentiamo troppo spesso d'ammirare, senza sapere quanto lavoro costi a chi l'ha edificata. Nella favella popolare invece Velisione, dove non incontrò la resistenza dell'accento, seguitava la sua strada, ed i versi dei più antichi poeti italiani, così come la odierna nostra favella, conservano la sinizesi e la sinalefe per lunga eredità loro trasmesse dalla lingua di Pacuvio e di Plauto (2).
   § 9. — Monumenti — Seimu urnanus et rusticus.
   La ricerca intorno ai monumenti letterarii di questa prima età si connette strettamente colla quistione, che ancora oggidì divide in due campi gli eruditi, quando i Romani abbiano cominciato a conoscere e ad usare della scrittura. Lo Schvegler è d'avviso che l'arte dello scrivere non sia stata recata a Roma prima di Tarqui-
   (1) Neue Jahrbucner LXI, 49-85.
   (2) Su questo carattere della lingua latina giova vedere anche l'ultimo capitolo del Varromanus di Donaldson, del quale mi piace riferire qui alcune delle prime parole: «if il ivere necessary to deaeribe in one sentenea the genius cind comlitution of the Latin language, one conici noi do this better than by defining it as a language which is ahvays yearning after enntraelion. TFhelher this tendency is indicated in the writien remains by the usuai processes of synizesis, assimUalion, and apocope; ivhether it appears in the slurning-over of syllables . by wich the scansion of the comic metres is effccled-, or wheler we perceive il in the syslematic abbreviations which mark the transilion front the Roman to the Romance language, it is stili one and the sanie, — it is the lype of the language in i'$ infancy, ils nmUirily, and its decay.