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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO II'. — PRIMA ETÀ'. 51
   Seguitando coi verbi, ci appajono come vocali irrazionali Vi davanti ad s nei pef-
   v
   fetti dell'indicativo e dell'infinito (MInsti — bibsti, come noi da bévesti abbiamo fatto
   v v
   bésti; dèdisti = eledsti, onde il nostro desti, e dedissem =¦ dedsem, onde noi: desse), Vi, Ve, e Va finali davanti a t nelle terze persone singolari, e più raramente da-
   v
   vanti ad nt nelle terze plurali (dedit = dedi, e l'i breve mutandosi in e, —diede,
   v v v
   placet = place, piace, erat era, vidcnt=- vìden, che vive ancora nei nostri dia-etti: véden).
   IV. I Nomi. Per effetto dell'accento tonico che posa sulla penultima; in molte finali baritone si perde affatto il valore della consonante ni, od s, e la vocale se è lunga si abbrevia, se .breve ammutisce, e tutta la siilaba diventa irrazionale. Così solamente possiamo spiegarci la quantità di molti nomi nei comici, come: fòres, fàris, fòras, pédes, màlos, viros, dove l'accento della prima breve ebbe forza dì abbreviare l'ultima, che era pur lunga, e rese possibile la caduta della s. Allo stesso modo bène,
   màle, divennero bène, male, prima che lf, finale cadesse affatto, dandoci nelle lingue moderne bien, mal.
   Nò questo aftievolimento di suono si manifestò solamente 111 principio ed in fine, di parola, ma eziandio nel mezzo, dandoci quelle angolari e veramente durissime storpiature che sono in Plauto: Pseud. 772.
   Parvis magnisque min'steriis (1) praefàlclor. Miles glor/lOCl
   Talentimi PMlippum huic opus aùrist.
   La seconda specie di irrazionali, cioè di quelle vocali che s'abbreviano, o si fondono, o comunque si sopprimono nella pronunzia por la vicinanza d' altra vocale, è assai più nota e più numerosa, giacché gli esempi ne sono frequenti anche nella lingua letteraria e nei poeti dell'età di Augusto. Esse possono incontrarsi con altre vocal: nel mezzo di parola; ed allora, per evitare Yhiatus, si fondono insieme e producono un'unico suono mercè della figura detta sineresi o sinizesi: oppure alla fine ed al principio di due parole che si succedono, nel qual caso, si fa l'elisione o smalefe.
   I fenomer più rilevanti della sineresi, che si veggano sì nei poeti scenici, e sì anche nei .ci e negli epici dell'età classica, sono i seguenti:
   1. Che le vocali u, ì, e, o, baritone davanti ad altra vocale baritona scendono spesse volte ad un suono muto od irrazionale, che s'indura nello semivocali j, v, e poi si perde: onde veggiamo tènnis — tènnis, ténuior = ténvior, génua — génva (2),
   abiete, ariete — a'ojete, o.rjete (3): aurea, alveo, che debbono aver avuto a un dipresso il suono di auria, alvio. Onde dal latino passando all'italiano, abbiamo la riproduzione dei suoni volgari di:
   laqueus in laquio, laccio, d: oleum in olio, di liabeal in abbia, di debeo in deggio.
   2. Che una vocale baritona davanti ad una vocale accentata scende ad una breve irrazionale, e ci dà quindi sillabe così compresse, come queste elio incontriamo
   massimamente noi comici: duàrum, fuìsse — fusse, fuerunt = furunt, onde noi
   furono, furo, fòro: deorsum, onde noi potemmo fare diorsum, diursum, e per effetto
   (1) Per questa via minìsteriuni divenne mtstére, e misteno nelle lingue romane a significare rito, funzione sacra, e quindi quell'azione scenica che comunemente le andava congiunta. Ed il procedimento è quello stesso per cui da munestrum s'ebbero in latino monstrum, mostrum, mostcllum, mostellaria.
   (2) L'italiano belva = belila.
   (5) In italiano cadde affatto l'i di ingénium — ingegno, Junius — Giugno, vàriits — varo, impèritim = impero, e VetYwinea — vigila.