48
LIBRO I'RIMO.
cose fossero aiutate proprio cosi com' egli dice, noi dovremmo credere che la piena coincidenza dell'accento coll'arsi fosse la condizione originaria e regolare del metro latino, il contrasto, invece, un'eccezione imposta come tant'altre dalla necessità di imitare i Greci.
Ma una siffatta teorica pone una distanza troppo grande tra la metrica latina e la greca, perchè possa essere facilmente accettata, fi fu difatti combattuta con ragioni e fatti validissimi da Ritter, da Boeckh e più che tutti da Corssen, il quale da una diligente analisi di essa, e dei fatti sopra i quali si fonda, fu condotto a cOncliiu-sioni direttamente opposte alla medesima. Difatti egli trovò in primo luogo, che la coincidenza dell' arsi con 1' accento non è nei poeti dell' età d' Augusto minore che nell'antica poesia romana, onde giustamente arguì non potersi ammettere nella versificazione latina un procedimento di tal fatta, per cui essa, partendo dal pieno accordo della quantità coli'accento, giungesse nell'età classica all'impero assoluto della quantità. Essere anzi vero il contrario: vale a dire, che il contrasto tra l'una e l'altra, il quale è vivo e manifesto nell'antico saturnio, ne' giambi e ne' trochei de' dialoghi scenici, negli esametri di Ennio e de' suoi successori, e in genere in tutti i metri tolti dai Greci, si viene facendo più raro nel senario giambico e nel settenario trocaico delle poesie popolari dell'età imperiale, per cessare affatto ne'canti soldateschi del secolo III, ne'quali l'accento predomina tanto da trarre a sè l'arsi anche nelle sillabe brevi. Il che parmi voglia significare: che la metrica latina comincia, al pari della greca, colla quantità in un tempo, quando il popolo e gli scrittori avevano ancora sufficiente coscienza di essa, e sapevano distinguer bene le sillabe lunghe dalle brevi, ne seguì anche la fortuna nel corso dei varii secoli della lingua e della letteratura, e passò interamente nel dominio dell'accento, quando questo rimase solo reggitore ed arbitro della pronunzia, quando, cioè, sillaba lunga e sillaba accentata vennero a voler dire la medesima cosa. Che se poi nel verso latino, dice bene Corssen, la coincidenza dell'accento tonico e dell'arsi pare ed è infatti più frequente che nel greco, non debbe ciò attribuirsi ad intenzione de' poeti, che in più luoghi senza necessità la trascurano, sì bene alla stretta dipendenza dell'accento latino dalla quantità; in particolar modo alla costante baritonia portata dalla penultima sillaba lunga. È cosa naturale che dove l'accento deve posare costantemente sopra una certa sillaba, quand' essa sia lunga, vi si incontri anche coll'arsi ; come è naturale il contrario nella lingua greca, dove la maggior libertà dell'accento rende la sua coincidenza coll'arsi assai più rara e difficile. Per questa proprietà dell' accento latino si ebbe quindi coincidenza necessaria e costante tra esso e l'arsi: nel giambo, quando il piede della parola ed il piede del verso non si coprivano (1); nel trocheo invece e ne'dattili quando si coprivano (2); e nel verso esametro, specialmente nei primi e ne' due ultimi piedi. Se la cesura veniva dopo la tesi (3), accento ed arsi si accordavano facilmente, se dopo l'arsi, no (4).
Diremo dunque che l'arsi e l'accento tonico non avessero alcuna attinenza fra
il i a il .. s
^1) Parentis olivi si qriis impia nidnii: abbiamo quattro coincidenze, appunto perche le due sillabe del piede non fanno una parola, nel piede che empie tutta la parola ci è conflitto.
(2) Col trocaismo della lingua latina la cosa si spiega facilmente:
il l il il il v
Solos JeTiceS viventes clamai in urbe.
il i il « ± il il
(3) Nadus aru sere ,, nudus ,] hiems ignava colono.
il il j. JL il il
Arma virumque ed ,] no ], Trojae qui primus ab oris.
(4) Dicendoci ultimamente, come per sfuggire alle ragioni de-1 suoi avversari, che l'armonia del verso latino nasce dal cozzo, dalla dissonanza dell'arsi e dell'accento nei piedi intermedii, Ritsclil, se non ha voluto mascherare una ritirata, ha asserito un fatto, non, come voleva dapprima, stabilita una legge.