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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO II'. — PRIMA ETÀ'. 47
   è il taglio che la parola fa, terminando, nel piede del verso. Le cesure in un istesso verso possono essere parecchie, secondochè le parole s' allacciano più o meno fra loro, mentre si rompono per formare i pedi, ma una cesura almeno è necessaria, acciocché il verso proceda giustamente. E questa può nell' esametro dattilico cadere nell'arsi o nella tesi del terzo piede, e dai grammatici fu detta pentemimera o quinaria, oppure nell'arsi del quarto piede, e fu chiamata eftemimera o settenaria. La cesura principale, sia l'una o l'altra di queste, è sempre determinata dalla divisione che il senso fa nel verso. Il pentametro dattilico è propriamente un esametro al quale mancano due tesi, e si accoppia sempre coll'esametro a formare il distico delle elegie.
   Stante l'equivalenza d'una sillaba lunga a due brevi, può ne'versi dattilici lo spondeo surrogare entro certi limiti il dattilo, come per essere le sillabe lunghe assai più frequenti in latino, che non nel greco, esso deve alle volte e può con certe norme surrogare i giambi ed i trochei nei versi lirici e dramatici.
   Questi sono i principii fondamentali della metrica latina, di cui le regole si apprendono collo studio della grammatica. Da questi principii risultano evidenti due fatti: che il ritmo musicale del verso latino è regolato dall'arsi, la quale alla sua volta è determinata dalla lunghezza della sillaba; e in secondo luogo che i singoli piedi non v possono e non debbono di regola combaciare colle singole parole che compongono il verso; onde ne viene assai volte che la giusta pronunzia della parola possa trovarsi 111 conflitto colla pronunzia del piede, od in altri termini, che l'accento tonico sia in disaccordo coll'accento metrico o ritmico. Questo contrasto, la cui necessità si rende manifesta a chiunque getti anche per poco lo sguardo sulla forma di un verso latino (1), diede origine ad una quistioue, la quale tiene ancora divisi in due campi gli studiosi di cose metriche. Si tratta di vedere in quale attinenza l'accento tonico della parola stia coli' arsi del piede, se e fin dove possano e debbano coincidere, e quale dei due abbia primamente governato la composizione e I' armonia del verso latino. Si tratta, in sostanza, di sapere se la metrica latina si fondi unicamente sulla quantità, come la greca, oppure se una parte vi abbia, e quale, anche l'accento.
   La quistione nacque primamente per cagione de'versi comici, voglio dire giambici e trocaici: ne'primi de'quali è difficile evitare il conflitto dell'arsi coll'accento per la mancanza di parole ossitone, ne'secondi viene invece facile e quasi spontaneo l'accordo per 1' abbondanza dei vocaboli piani e baritoni. E fu sciolta da Riccardo Bentley colla sentenza, accettata da Hermann, e sostenuta oggi ancora con molto vigore da Ritsclil e da Fleckeisen, che i poeti comici latini evitavano, quant'era da loro, di porre l'arsi sull'ultima sillaba della parola, acciocché non venisse in conflitto coll'accento tonico, e che quindi di loro malgrado si scostavano da questa nonna nella prima e nella terza dipodia del senario giambico, perchè altrimenti non avrebbero potuto nè tradurre nè imitare i versi dei poeti greci. Seguendo e sviluppando questa dottrina con ricca copia di esempi e di argomenti cavati da uno studio accuratissimo di Plauto, Federico Rit scili crede ancora di poter sostenere, che sebbene la versificazione latina si fondasse sulla quantità, pure gli antichi poeti dramatici ponessero particolare studio a procurare la coincidenza dell'arsi coll'accento, e lo facessero ogni volta che fosse loro concesso dalla quantità delle sillabe e dall'indole del metro. Quindi egli nella storia delia versificazione latina distingue tre età : lJ quando l'accento e la quantità reggevano di pieno accordo il verso latino ; 2. quando 1' accento e la quantità, per il bisogno di conciliare ì metri greci colle leggi della pronunzia latina, cominciano a contrapporsi e contrastare ; 3. quando finalmente la quantità regna da sola, e non fa più verun conto dell'accento. Se la teorica di Ritschl fosse vera, e le
   (1) Si veda per esempio il verso seguente, dove per dislinguere racconto tonico dalle arsi, ho sof toposto a queste i! segno della lunga, ripetendo l'apice in quelle sillabe dove coincidono
   n. n. , i i d (I
   Arma v'-rumque ca-rio Tró-jae quiprinius abons. In quattro piedi 1' arsi e l'accento si incontrano.. negli altri cozzano.