CAPITOLO II'. — PRIMA ETÀ'.
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quantità delle forme sincopate, che in quell'età appunto s'incontrano, ad esempio : nànc-sitor — nancsisilur, fàcsitur — faesisiiur, turbàssitur — turbavisitur. Questi esempii ci mostrano come da parecchi secoli prima delle guerre puniche la nuova accentuazione tendesse a prevalere, sia struggendo vocali, sia sospingendo 1' accento verso la fine della parola; e ci mostra eziandio come quest'opera di trasformazione nell'organismo della parola non avvenisse senza forti e lunghi contrasti tra 1' antico ed il nuovo: le traccie dei quali sono ancora visibili nella stessa lingua letteraria, dove mentre i poeti ti pronunziano col popolo stétcrunt, da Ali verrà l'italiano stettero, gli oratori ed i grammatici ti scrivono steterunt E lo stesso si dica di mànsti e mansisti, di térrae e terrai, ed altre consimili divergenze. La lotta potevasi però dir finita, e la nuova legge dominante, al tempo in cui nasce la letteratura romana Ciò ne dice la storia della lingua latina: ma se consideriamo che una siffatta limitazione dell' accento tonico per mezzo della durata di una sillaba, e per il numero delle tre ultime sillabe, è comune agli altri dialetti italici, e, come s' è visto, con poche differenze anche alla lingua greca, mentre invece 11011 ne esiste traccia nel sanscrito e nel tedesco (1), ci è facile capire come quella limitazione dev'essere cominciata assai tardi, e dopo che gli italo-greci erano già lungamente divisi (li favella e di stanza dagli indi e dai germanici. La nuova legge di accentuazione stabilisce quindi un vincolo strettissimo di affinità non solo tra le favelle italiche, ma anche colle greche, nelle quali il latino ha poi special) somiglianze col dialetto eolico: e le anomalie, che siamo venuti notando, altro 11011 sono che memorie del tempo, quando tutti gli arii parlavano e pronunziavano ad un modo una medesima favella. Pertanto se da una parte è assai probabile la congettura di Curtius, che la nuova legge d'accentuazione in quello che ha di comune siasi formata innanzi la separazione dei Greci dagli Italici, dall'altra è pure evidente, che le proprietà più speciali dell' accento latino, come la costante baritonia della ultima sillaba, e la stretta dipendenza dell'accento dalla quantità della penultima, debbono essere di un tempo posteriore a quella separazione; quando, come dice Corssen, nella penisola dell'Apen-nino era già cresciuta una famiglia di genti e di favelle separata da quell'altra famiglia, che si era fermata a porre stanza nella penisola dei Balcani.
La risposta alla seconda domanda, come, cioè, avvenisse un tanto cambiamento, deve essere ancora cercata nella storia dell' accento, non solo presso i Latini ed i Greci, ma presso tutti i popoli della nostra stirpe linguistica.
Come avverte benissimo G. Corssen, è segno di un' accentuazione primordiale questo, che una lingua, non legata da riguardi al numero ed alla durata delle sillabe, rilevi coll'accento quella sillaba della parola, la quale nella mente di chi parla è la più importante. E questa può essere, 0 il radicale stesso che contiene il primo e più astratto senso del vocabolo, oppure una delle altre sillabe, che nella forma di suffissi 0 di prefissi lo vennero in vario modo specificando. Secondo che si voglia rilevare questo 0 quello aspetto dell'idea, 0 l'idea stessa nella nozione primitiva, chi parla fa ai-
(1) In sanscrito l'accento è libero da ogni rispetto ad? quantità; si posa dove vuole, fin'anche sulla sesta 0 sulla settima sillaba, e coll'ajuto di toni intermedii può sempre tenere unita la parola. In tedesco l'accento e istessamente libero da ogni vincolo colla quantità 0 col numero delle sillabe, ma, salve poche eccezioni, tende a retrocedere sul principio della parola, cioè sulla sillaba radicale che contiene il concetto principale del vocabolo, 0 sul prefisso che lo specifica e lo determina. Fra i dialetti italici l'etrusco in particolar modo portava di preferenza l'accento sulla prima sillaba della parola ; perciò solo, io credo, che queste erano le sillabe radicali. Cosa notevole, che questa tendenza a ritirare l'accento dalla finale è viva ed operosa oggi ancora nel Toscano, che ti fa sdrucciole le piane e le tronche, dicendo: péggiora, amavamo, dicevamo; e Santa Trinità per Santa Trinità. Giova però avvertile quanto alle prime persone plurali degli imperfetti, che l'accento toscano si ripete nei rostri dialetti, dove udiamo ogni giorno: legevam, disévam, vedévam. Altra prova che ;ì toscano, per quanto l'ottimo, è anch' esse un dialetto