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LIBRO I'RIMO.
pio greco, e nei due primi esempi latini, l'enclisi ila semplicemente riunite le due voci sotto un medesimo accento, negli altri latini lia veramente fatto delle parole composte, le quali si scrivevano eziandio così come venivano pronunziate.
Questi fatti, i (pioli in latino sono anche più frequenti forse che in greco, ed hanno, come già dissi, una parte grandissima nella formazione, trasformazione e deperimento delle voci e de'vocaboli d'ogni maniera, sì riducono assai facilmente ad una legge chiara e ragionevole, chi sappia considerarne atteutamente le cagioni e la storia. Quelle consistono nella tendenza comune tanto al latino quanto al greco, e si può dire a tutte le lìngue, di congiungere colla pronunzia le parole nel discorso, nella stessa guisa come si compongono le sillabe nelle parole, ed i suoni nella sillaba, così che a somiglianza dell' accento tonico possiamo imaginare (e parlando lo sente davvero ognuno di noi, e lo fa sentire agli altri) un accento oratorio, il quale connetta e stringa in unità vocale prima le singole frasi, poi tutto un periodo. A questa tendenza obbedisce il greco, mutando nel corso dell'orazione in baritone (o quasi) le innumerevoli sue parole ossitone, e privando dell'accento, per darlo al vocabolo precedente o susseguente, moltissimi de'suoi pronomi, delle sue preposizioni e congiunzioni, e le forme più brevi e più usate del verbo sostantivo. La parola di minore rilievo si aggruppa nel discorso colla vicina, od anche colle vicine, a formare, dapprima momentaneamente, e poi anche per sempre, una parola sola. Però in questa maniera di composizione, la quale non potè avvenire senza che si logorassero e si struggessero di molti suoni, il latino andò assai più avanti del greco, che fu per più lungo tempo custode vigile ed amoroso del suo florido vocalismo. Cosi, per modo d'esempio, in greco, quantunque la terza singolare del verbo essere (lazi) vi sia enclitica, noi non ari'iviamo mai alle goffe mutilazioni, che ci danno i composti latini silust, positast, nè noi vi incontriamo mai, per tacere di 'verbi conglutinati con avveriti, quali sono nolo, malo, ecc., ecc., una intera proposizione, la quale per opera dell'accento si rat-tragga in una sola parola, come è in latino fòrte — cm — si—vis, che a poco a poco si fa fortàssis, e poi fortasse. Chi voglia poi sapere le cagioni ancor più lontane che lasciarono agire questa tendenza tanto liberamente nella lingua latina, le può trovare nella storia stessa di questa lingua, la quale per cinque secoli almeno, e sono t più grandi e gloriosi del popolo romano, fu un dialetto lasciato interamente in balìa della mobiie e diversa pronunzia delle plebi. Miglior fortuna ebbe la lingua greca, che nata appena, si può dire, fu consegnata e custodita nelle opere della più bella letteratura che ancora gli uomini conoscano; e fu poi parlata da un popolo, nel quale il senso dell'armonia e della venustà fu maggiore che 111 tutti l popoli del mondo. Suoni cosi st.orpii e duri, come i latini sopra nominati, non potevano essere tollerati dall'orecchio greco, abituato alla pienezza é alla rotonda fluidità delle sue parole.
Comunque ciò sia, dalla storia delle enclitiche latine, che per la massima parte sono, come le greche, pronomi, preposizioni, congiunzioni, con qualche verbo e parecchi nomi, noi apprendiamo: 1. Che bisogna tener Itene distinte due specie di inclinazione: quella che si fa sulla parola precedente (sì — qids — sìquis, ét — énim = éienim, quàm vis — quàmvis) e l'altra che si fa sulla seguente, cui alcuni moderni grammatici vollero denominare proclisi, ossia proclinazione (ài) — Jiinc — abitine, id— circo — ideirco). 2. Che rispetto alla prima specie, vere enclitiche sono quelle sole parole, le quali, unendosi nell' accento con un' altra, hanno serbata, se così posso dire, la propria personalità; per cui, quando loro avvenga di stare da sè, possono riprendere il proprio accento. Esse si riconoscono facilmente a questi caratteri: a) che conservano intatte le proprie forme, e possono pertanto scriversi e pronunciarsi anche separatamente; b) che la prima di esse, acni l'altra dona nell'unirsi il proprio accento è, solitamente, non un nudo tema, ma una forma nominale, pronominale, o verbale vivente tuttavia nell'uso della lingua, ovvero tramutata ab antico in avverbio o particella, pur conservando talora alcuni resti dell'antica flessibilità. La forza dell'inclinazione in questa classe di parole si manifesta con ciò, che la sillaba precedente la enclitica, sia dessa lunga o breve, prende sempre l'ac-