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LIBRO I'RIMO.
XI. Che il suono della L tra due vocali si accostava di molto alla R, onde ne suffissi ali, ari, che Poti dimostrò essere identici, le due lettere si scambiano per comodo di pronunzia, secondo che 1' una o 1' altra di esse è nella radice della parola; onde abbiamo: austr-alis esol-aris, litor-alis e saecul-aris, oda aculum, per la stessa ragione, facciamo cceruleus, come da Pales, Partila. Che il suono della doppia U in mezzo di parola era sì debole, che la medesima parola si incontra spesse volte scritta ora con una, ora con due lettere, come Amulius, Amullius, mille e mile, tanto nelle iscrizioni quanto ne' manoscritti. La pronunzia troppo piena della l era un vizio che i Grammatici chiamavano lambdacismo.
XII. Che la R latina in parecchie voci si mutò in quando si trovava tra due vocali. Questo mutamento, del quale abbiamo esempii assai copiosi nella letteratura romana, cominciò ai tempi della guerra sannitica. Per esso i Valesti, Papisti, Fusti divennero Papirii, Valerti, Furti: e restarono l'uno di fronte all'altro, come testimouii di due diverse età e pronunzie, Faliseus e Falerii, Etruseus ed Etruria. Le forine primitive dovevano essere Falesii, Etrusia. E nella lingua letteraria troviamo ancora ar-bos ed arbor, honos ed iionor ,quaero e quaeso, nasus e naris; così come nelle flessioni e nelle derivazioni dei verbi e dei nomi ci si fanno notare: pero daccanto a gessi gestum, iiaurio ad hauslum, iteri ad hesternus, jus a juris, e crus cruris, venus veneris, genus generis, flos floris, fioridus, vetus veteris, vetustus; onus oneris, onustus. E la r finale della terza pers. sing. passiva è pure, come abbiam visto, la s del riflessivo se: legitur = legituse.
XIII. Che il suono della N era assai debole: a) in fine di parola, onde facilmente cadeva. Virgo , inis, homo, inis, ecc. li) Venendo dopo la M. in sillaba non accentata: omnis, amnis, ecc. c) davanti la S, dove pure cadeva facilmente, onde s'ebbero in vecchie iscrizioni eosol, cesar per cornol, censor. d) La N davanti ad una gutturale g, c prendeva anch'essa un suono gutturale, molto simile al suono della nasale francese in langue, e della gutturale tedesca in DanU. In questo caso pone-vasi alle volte anche g per n, e scrivevasi aggulus, Agcliìses per angulus, An-cìiises (1). La n di con ed in, come ci attestano Cicerone e Gellio, rendeva lunga la vocale precedente, se era seguita da f ed s, breve se da altre consonanti. Onde si pronunziava: consuesco, concrèpuit; insanus, mfelix,inductus. E il perchè ci è detto da Cicerone in poche parole: voluptati aurium morigerari debet oratio (2).
XIV Che il suono della II finale era debolissimo, così che o si mutava in N, come davanti alle dentali ed a s, f, j, v (contineo, confido, consul, conjuos, converto), e davanti ad N anche nel corso dell'orazione (3), ovvero si elideva se era seguito da vocale iniziale, in modo da produrre con questa, come chi dicesse, il suono di una nuova lettera. Questa debolezza, e la conseguente caduta del suono M fu cagione principalissima che la declinazione latina si perdesse nella lingua popolare.
XV. Che la S in mezzo ed in fine di parola ebbe un suono debolissimo, per cui nel mezzo si fece spesse volte r (come s' è detto) od anche cadde, nel fine non fu dai poeti sino a Catullo considerata come consonante piena, e che facesse posizione: onde si scriveva omrdbu' princeps, imagini' formam, ed Ennio cantò : scripsere alii rem Versibu' quos olim Fauni vatesque canebant. La S finale cadendo nei volgari latini distrusse il segno del nominativo, mentre la caduta della M distruggeva l'accusativo; e due casi per tal guisa si venivano perdendo nella declinazione latina.
XVI. Che la lettera 2, scomparsa non si sa quando, ma certo prima del VII se-
^1) Sono da vedere sopra questo suono particolare della n, detto ugma, Pnsciano e Gellio, XIX, 1.
(2) Orat. /(8, 159; poi Gellio II, 17, IV, 17.
(3) Onde cum nobis suonava uguale a cunnobia: *a.xÉy.fz-o-j che si doveva evitare pronunziando e scrivendo noìdscum. Allo stesso modo e per la stessa ragione i Romani non tolleravano che si dicesse: « liane culpam majorem an Ulani dicam» perchè inline della frase si udiva: lundicam. Vedi Quint. Vili, 5, 4b. e Cic. Or. § 1M; poi Lettere famigliari, IX, 22.