capitolo ii. — prima età'.
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Cosi andando le cose la H doveva col tempo scomparire quasi all'atto dalla scrittura, come prima era scomparsa nella pronunzia. E ciò avveniva già tra ì secoli quarto e quinto dell' era volgare.
VI. Che la lettera B (media labiale) aveva un suono assai poco lontano dal il greco, come si raccoglie da Ennio che tradusse fittoci conBurrus, e S-clzu.fòe con triumpc, e dall'uso antico di scrivere poplicus e poplicola per publicus e publi-cola. Dove però giova avvertire che la tenue è etimologica.
Davanti alle consonanti s e t si udiva p quand' anche si scrivesse b, come ci è espressamente attestato da Quintiliano coll'esempio di oMinuit che si pronunziava optinuit, e delle scritture urps, traps le quali, oltre di non mancare in ottimi codici, hanno anche il suffragio di valenti Grammatici: e finalmente delle forme scrip-si, nup-si, lapsus, scrip-iurus, nup-turus dove la media del presente si muta nella tenue.
Negli ultimi secoli dell'impero il b venne scadendo quasi a v, dimodoché le due lettere si confondono spesso nelle iscrizioni e nei manoscritti. Della qual mutazione abbiamo traccie eziandio in alcune forme italiane, quale è p. e la desinenza evale corrispondente alle latine alrilis, ibilis, ebilis. Fievole = fi ebilis, ecc. Poi nelle parole lavoro — labor, tavola — tabula, favola, favella — fabula, favella,, para vola (paraola, parola) =s parabola.
VII. Che la F era una semplice spirante, da doversi, come dicevano i Grammatici latini, pronunziare non fixis labris, sed quasi Inter discrimina dentium, e quindi dava un suono elle la distingueva chiaramente dal
Vili. Che T iniziale e medio aveva un suono acuto, onde alle volte si trova solo per questo raddoppiato (littera, quattuor) ; T finale un suono debole, onde scese assai volte a D per poi cadere. Nella terza persona singolare e plurale dei verbi cadde affatto lasciandoci: diede = dedit, diedero = dederunt, ama — amat, dica = dicat,
IX. Che D (linguale media) aveva in fine di parola un suono molto simile alla tenue T. Tale suonava in quid, quod, id, istud, illud, aliud, ad, apud, sed, haud, come ci è attestato anche dalla scrittura in molti passi d'epigrafi e di manoscritti. Se mettiamo insieme questo fatto, e l'altro della somiglianza del B con P, col fatto che la tenue e la media gutturale andarono per parecchio tempo confuse nell'unico segno C, verremo a confermare l'antica sentenza che ì Romani non avevano le teretes aares dei Greci, e perciò non sapevano distinguere nettamente le gradazioni de' suoni,
X. Che a somiglianza di C, T, anche D davanti ad io, ia, tu, ie si fece sibilante a poco a poco, onde medius, prandium, radius divennero mezzo, pranzo, razzo E questo aftievolimento del DI deve essere cominciato assai presto, se già Servio commentando il verso 216 del lib. II delle Georgiche avvertiva che il di di Media doveva proferirsi sine sibilo: graecum enim nomen est, et Media provincia est. Già allora dunque si doveva dire press' a poco come diciamo noi : mezza l'aggettivo, e Media la contrada. Meridies si è fatto per la stessa causa meriggio, hodie, oggi, giacché la sibilante, nella quale si tramutarono gli antichi suoni TI, DI, CI, prende in italiano diverse forme che sono: zio, eia, zo, zzo, gio dandoci per es: Vincentius — Vincenzo, che nel vezzeggiativo si fa Cencio; facies — faccia, justitia — giustizia, palatimi = palazzo, palagio, e va dicendo.
(1) I Greci facevano della ® latina una labiale aspirata, onde un greco, testimonio nella causa di Fundanio, fu per questo difetto di pronunzia scopo alle facili l isa di Cicerone. Quel povero greco diceva sempre Phundanius, e non poteva dire Fundanius.
La f iniziale Ialina occorre anticamente in molte voci che più tardi ci presentano la li, e ci fanno fede coni' essa siasi venuta indebolendo. Tali sono, ad esempio, fordeum ~ liordeum, fostia = Iwstis, ecc., ecc.