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LIBRO I'RIMO.
al sesto e settimo secolo, che vale a dire fino alla invasione longobardica ; intorno al quale tempo il suono C cominciò a scadere a c,, z, tsch davanti e, i, tacendosi sibilante quale oggi ancora lo sentiamo nelle lingue neo-latine.
II. Che il suono CI (come il suono TI, di cui diremo più sotto) si venne col tempo affievolendo cosi da mutarsi in sibilante e divenire z, Isoli., zz, quando era seguito da vocale. Onde si ebbero patricius — }>a.tiÌ7Ào, facies — faccia. Questo aflìevo-limento cominciato già nel secondo secolo dopo Cristo, e largamente progredito nella lingua popolare e per essa nelle romanze, fece sì che si confondessero nella pronunzia e quindi nella scrittura i due suoni ti, ci, in modo da non potersi più distinguere esattamente l'uno dall'altro (1). Esso è dovuto, come di leggieri s'intende, all'azione della semivocale j (ja. skr) sulla gutturale, e pairicius si è fatto patrizio palatium, palazzo iu quella stessa guisa e per la stessa ragione che in greco olc/'iwj si è fatto o'Xi^CiB, e ra/iwy, So.gtxYj.
III. Che il suono QV (qu) deriva dalla gutturale tenue K (C), e la lettera V (u) che l'accompagna non è nè una vocale piena, nè una consonante piena, ma solamente un suono di semivocale labiiile, come se si proferisse KV (2) ; e questo suono deve di necessità modificarsi diversamente davanti alle diverse vocali. Così davanti ad a ed o somiglierà ad un u muto: qiiatluor, quomodo'. davanti ad ce, e, i ad un v muto; qvcestor, queror, quis: davanti ad u vale semplicemente u, e potrà scomparire, talché sino dai più antichi tempi si trova scritto QVM, e più tardi CVM per QVVM (quum, qum, cum). QV è pertanto il suono intermedio, e come a dire di transizione dalla gutturale tenue K alla labiale tenue P ; e da questa sua natura fu in parecchi casi facilitato o promosso quello scambio della gutturale colla labiale in principio ed anche in mezzo di parola, di cui si è detto più sopra.
IV. Che la G, inedia gutturale, si pronunziava in origine come la corrispondente media de' Greci r anche davanti alle vocali E, 1 (sebbene forse con un suono meno forte che davanti all'altre vocali): quindi gcnus = -/évo;, yr/ja — gigno. Nei volgari latini de'bassi tempi e nelle favelle romanze divenne sibilante, e s'ebbe così la pronunzia italiana delle parole genere, ginocchio, ecc.
V. Che già ai tempi di Cicerone nella lingua colta di Roma quasi più non si udiva la pronunzia della H lasciata ai contadini, o frequentemente derisa, come ce ne dà 1111 saggio l'epigramma di Catullo, ne' provinciali massime della vicina Etruria (3). Che per conseguenza all' età di Augusto non si sapeva più bene, quando si dovesse 0 no usare la B nella scrittura. Di questa incertezza troviamo frequenti esenipii nell'iscrizioni, ne'manoscritti, e fin anche ne'Grammatici, i quali non sempre ti sanno dire se tu debba scrivere harundo ovvero arundo, humor ovvero umor.
(1) Di questa assibilazione di ci abbiamo esempi già neirUiiibro antico.
(2) Gli Umbri e gli Osci a1 quali mancava la lettera (J), esprimono il suono latino colle lettere KV, dicendo, per modo d'esempio: Krestur, Kwistur dove i latini dicono: Quaeslor.
(3) È l'epigramma notissimo contro Arrio.
Chommoda dicebat, si quando commoda velici
Dicere, et insidias Jrrius hinsidias, Et tum mirifiec sperabat se esse locatum
Cum, quantum poterai, dixerat hinsidias. Credo, sic mater, sic Liber avunculus ejus,
Sic maternus cwus dixerat alque una. Toc misso in Syriam reqnieraut omnibus aurcs,
Audibanl eaclem lutee leniter et leviter, jVec sibi postilla metuebant lalia verba,
Cum subito afferlur nuntius horritnlis, Jonios fluctus, postquam Ulne Arrius isset, .Tarn non Jonios esse, sed Jlionios,
E Nigidio Figulc insegnava che: rnstieus fit sermo, si aspires perperam. Aulo Gellio, XIII, f>, 5.