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L1BK0 PRIMO.
Nelle iscrizioni di quel tempo troviamo usato con maggior frequenza il digamma capovolto L>i per dinotare il v, p. es. ditfi — divi; dell'antisigma Q non abbiamo nelle iscrizioni nessun sicuro esempio ; il segno ,- è per lo più usato come equivalente all'u greco, p. e. nelle voci : AegYpti, I'Y ladcs. Esso sta per un i greco nella dizione a biblioteca, per a bib,liotheca, invece della quale in due iscrizioni dei tempi imperiali si legge : a bublioteca. Non potendosi ammettere che in quest'ultimo esempio V rappresenti 1' « greco, bisogna credere piuttosto che la voce greca sia stata latinizzata, e Ity davanti a labiale diventato un suono molto simile ad v. Dopo di che fu potuto dinotare con I-. Medesimamente 1-si trova in GYbernator, il che fa testimonio di una falsa opinione delle scuole, per la quale si derivava gubemator latino dal greco invece di ritenerli, come sono, simili entrambi già fin dall'o-
rigine, e usciti da una comune forma Kuberno. — Certo è dunque che il segno h, dove oggi ancora si vede, tiene quasi sempre le veci di un u greco, una volta sola di un t greco; ma non rappresenta mai il suono latino intermedio tra i ed u: quello che si sente, per esempio, confrontando optimus con oplumus. E così pare che non servisse nel fatto a quell'uso, cui l'avea destina+o il suo cesareo inventore.
Adoperando contrariamente, altri tentò di espellere, come inutili, alcune lettere dall' alfabeto. E furono Licinio Calvo dei tempi di Cicerone, che voleva cacciarne il Q; e Nigidio Figulo che insieme col Q bandiva anche la X, perchè non trovava quello nell'alfabeto attico, e questa nei più antichi monumenti latini.
§ 7. — Della pronunzia
n) Delle vocali.
L'alfabeto latino comprendeva adunque coi due segni greci ventitré lettere. Di queste le lettere I e V valevano per i Romani come vocali e come consonanti, i segni U e J essendo un trovato moderno.
Circa la pronunzia delle vocali latine meritano d' essere in ispecial modo osservati i fatti seguenti
I. Che l'È breve suonava — I nell'antico latino in parecchie voci, come: tempesta, tebus, merelo, Meyiervai, fmneliai; le quali più tardi lo mutarono in i.
II. Che 1' E lungo ebbe due suoni : l'uno aperto come il dittongo ae, in ceteri, fenum, fetus, ecc.; l'altro stretto da parere quasi un i, il quale prima di Augusto si segnava con El. «In here, dice Quintiliano (1,4,18), ncque Spione ncque I auditur », Tale è Vi (eis-es) di onwiis, amnis, e simili acc. pi. della III declinazione, e tale è Ve dell' ahi. sing. dei nomi col tema in i: come ad esempio classe, colle, fine, orbe, ecc. i quali prendono in quel caso anche la desinenza i; tale è finalmente Ve degli antichi dativi jure, aere, ecc., ecc.
III. Che ci ha in latino un suono intermedio tra Vi e Vu, come attesta Quintiliano. (1,4,7) dove dice: Medius est quidam U eli litcrae sonus, non enim sic optimum dicimus utopimum(\). E dopo lui dicono lo stesso Prisciano, Donato e gli altri Grammatici. Dai quali apprendiamo che questo suono medio si udiva in certe condizioni davanti a consonanti labiali : epperò davanti ad M nei superlativi, nella prima persona plurale dell' ind. presente di sum e composti, di velie e composti : poi in contumax, contumelia, eseistumat, monumenta, alumenta. Inoltre davanti a b, p, f, in
manubiae, aucupium, aurufex lubido, m ancupium,
in ti ibus, aucì (pare,
artubi is, mai lupre tium,
manv.'bus,
(1) F. Ritschl nel Museo Renono ha, dice liranibach, dimostrato all'evidenza doversi qui leggere: non enim sic optimum legimus ut aut optimum aut optimum. Vedi Museo Renano XXII, pag. fi07, e Rrainbacli Die MagestalUmg der rumischen orthographie, pag. 408. La lezione dell' ambrosiano (A) è.' non enim sic optumum dicimus ut optimum. BufPfta è scritto poi di seconda mano un a. E rilalm non osò nell'ultima edizione abbandonare la volgata per seguire la congettura rilselieliana.