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Storia della Letteratura Romana

Cesare Tamagni
Francesco Vallardi Milano, 1874, pagine 590

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a cura di Federico Adamoli

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   CAPITOLO II. — PRIMA ETÀ'.
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   l'età, che doveva poi essere illustrata dagli Scipioni, dai Lelii, dai Rutilii, di quell'età clie a Cicerone, afflitto dai mali suoi e del suo tempo, si presentava come la più grande e più fortunata della sua patria: allora solamente apparvero i primi segni d'una ^vera letteratura.
   Quindi è clie in questi cinque secoli le indagini dello storico detono di necessità limitarsi a quelle scarse reliquie, clie sole ci possono additare qual fosse allora la coltura del popolo romano. Giacché, non procedendo mai la natura per salti, ninno vorrà credere che la letteratura sorgesse improvvisa in Roma, così come si favoleggia di Minerva che uscì armata di tutto punto dal cervello di Giove; sì bene è naturale il pensare, che in questo sì lungo tempo si venissero a poco a poco preparando gli animi e le cose a riceverla e farla prosperare. E tra le cose di cui ci bisogna attentamente seguire la storia, viene in primo luogo la lingua. Perocché nella natura e nello stato di essa, quale ci si manifesta dai più antichi monumenti, noi vediamo il più chiaro indizio della scarsa coltura dei Romani, ed una forse delle primarie cagioni che resero così lenti e difficili i primi passi della letteratura.
   § 5 — Dellfc origin. della lingua latina,
   Mercè i nuovi metodi della linguistica, il quesito intorno alle origini della lingua latina è reso, come già dissi, assai più semplice e chiaro, che non era dapprima, e~ molti errori furono rimossi che toglievano di vederne la soluzione. La scienza ha 0n qui almeno ottenuto questo vantaggio, che quantunque negativo è pur grande, di aver messe via teoriche e congetture, le qual non sono molti anni ad uomini di gran sapere parevano ancora assai ragionevoli. Quando si credeva ad una lingua composta di due elementi: l'uno greco e particolarmente eolico, l'altro italico , celtico, o germanico ; o quello qualsiasi che la fantasia degli eruditi osasse imaginare. Quest'opinione, che fu pure accolta e difesa dal massimo Niebuhr, aveva per sè l'apparenza de'fatti, e l'autorità di Dionigi d'Alicarnasso e di Quintiliano (1). Quegli infatti diceva: che i Romani parlano una lingua nè tutta barbara nè tutta greca, ma mista d'entrambe, e più di dialetto eolico, e che dalle molte miscele hanno cavato l'unico vantaggio di una poco corretta pronunzia; questi più brevemente insegnava: che il parlar nostro è somigliantissimo alla maniera degli Eoli. Ma oggimai la linguistica ci ha da uua parte insegnato che lingue miste non esistono, mentre ci ha condotti a riconoscere dall'altra, che il greco ed il latino sono lingue sorelle, uscite dal grembo di una madre comune in tempi che la storia non ci può raccontare. Quindi così le somiglianze come le dissomiglianze trovano una naturalissima spiegazione nel vincolo di sangue che le congiunge. Ora noi sappiamo che il latino, il greco, ecc. sono lingue uscite dalla perduta favella degli arii, formatesi in quel modo istesso ed in virtù di quelle medesime leggi che dal latino si formarono le moderne favelle d'Italia, di Francia, di Spagna e di Rumenia. Le somiglianze attestano il patrimonio che era comune a tutte, quando in diversi tempi si staccarono dal primitivo tronco: le differenze vogliono essere attribuite appunto alla più o meno tarda età della-separazione, agli ulteriori progressi di ciascheduna, ai contatti coi primi abitatori de' paesi dove le genti portatrici di quelle favelle ponevano stanza, ed a tutte insieme quelle cause che in vario modo determinano come la formazione degli stati e delle civiltà, così anche la fortuna ed il carattere delle lingue. Pertanto è oggi cosi assurdo il dire che la lingua latina sia in gran parte derivata dalla greca, perchè molto greco in fatto vi si sente e nel dizionario e nella grammatica, come sarebbe il dire clie il francese è derivato dall'italiano, o questo dallo spagnuolo, perchè nell'uno s'incontrano molte voci, molte dizioni e molte maniere che pajono tolte dall'altro. Se~non fosse stato che la civiltà e la letteratura
   (1) liion., A. R. 1, 90. Qumt., 1, 6, 31. Contine! autem (etymologia) in se multam oruditioneni, sive ex Gratis orla traetemus qu?e sunt plurima, pracipuecjuc Acolica ralione, cui est senno uostcr si-aiillimus, declinata, sive, ecc. Vedi anche I, 5,58.