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LIBRO I'RIMO.
oliò quando puro ne abbiamo purgato le carte colla critica, quando col retto uso della grammatica ne abbiamo dichiarata ogni i'rase, ogni parola, e delie cose abbiam dato ragione coli' aiuto della storia e di tutta , se occorre, la scienza dell'antichità, ci resta l'ultima e più ardua fatica, che è di rendere appuntino que' pensieri, che ne pare d'aver bene intesi, in buona e chiara forma italiana. A questo punto cessa l'erudito, e comincia lo scrittore; son per dire, l'artista. Quindi l'Ermeneutica ha due parti : fi arte di ben intendere, e l'arte di ben interpretare agb altri colla parola ciò che tu hai ben inteso. Questa seconda dipende naturalmente dalla prima, giacché non può interpretar bene chi prima 11011 lia inteso bene, e se tu colia penna in mano e coli'oecliio sulla carta duri fatica a rendere i pensieri del tuo autore, devi credere che non li hai all'errati per bene, e rifarti da capo a studiarli. Però eziandio chi bene intende non è sempre buon interprete, se non possiede l'arte e l'esercizio del dire, quella che con felice vocabolo Quintiliano chiamò X abitudine dell'eloquenza. Ohi non sa esprimere bene i proprii pensieri, non potrà mai rendere felicemente gli altrui.
L'interpretazione degli scrittori, deve poi essere, come in parte già fu avvertito, grammaticale, storica e filosofica. La prima è naturalmente il principio e la base delle altre due ; e vuol essere condotta in modo che sia data ragione d'ogni costrutto, d'ogni frase, e siano rese manifeste le leggi che governano la formazione sì delle proposizioni si dei periodi. Chi non conosca le funzioni che ciascun vocabolo ha nella proposizione, e ciascuna proposizione nel periodo, chi non possa dar esatto conto delle varietà dei casi, de' tempi, de' modi con cui si esprimono le varie attinenze dei vocaboli e delle frasi tra di loro, quegli non solo non intenderà mai la maravigliosa unità del periodo latino, ma nemmanco rileverà esattamente i concetti del suo autore. E perderà certamente il miglior frutto che altri possa cavare dalla lettura de' classici, chi non curando questa sottile e diligente osservazione del modo come le forme grammaticali si.vengono acconciando ad esprimere con evidenza ed ordine tutti i possibili moti della mente umana, non avrà imparato come meglio formi, connetta ed esprima egli stesso i proprii pensieri. Non occorre poi dire che delia grammatica storica l'interprete saprà servirsi per rilevare insieme colle regole comuni, eziandio le proprietà grammaticali che distinguono tra loro lo età e gli scrittori.
Coli' interpretazione storica noi veniamo a dichiarare le cose che son necessarie a conoscersi per intendere l'autore ; e la qualità come la misura di essa può e deve variare secondo la qualità delle opere, e secondo la coltura dei lettori 0 degli uditori. Dell'ultima maniera d'interpretazione non facciamo uso soltanto cogli scritt' filosofici, come parrebbe indicare il vocabolo; onde meglio forse si chiamerebbe logica , essendo l'ufficio suo di chiarir nettamente cosi il senso, come la rettezza e l'intimo collegamento dei pensieri. Naturalmente l'interprete non muterà forma ai pensieri che gli paressero 0 non retti, 0 non bene connessi, ma si terrà pago di notar tali difetti dove gli si presentino.
È questo il confine dove l'ufficio di intendere si muta nel più difficile di giudicare. Qui comincia la critica che propriamente si dice letteraria od estetica, mercè, la quale noi ci addestriamo a recar giudizio del vario inerito degli autori. Arte anch'essa, io credo, e non scienza, come quella che sebbene non manchi di principii e di norme universalmente accettate, deve però molto concedere al criterio individuale, ed all'acume di quel sesto senso che i Romani chiamarono giudizio intelligente, e i moilerni buon gusto. Non mancò per altro in ogni età chi pretendesse farne una vera scienza delle lettere e delle arti, e raccogliendo in un sistema di proposizioni i caratteri di ciaschedun autore e di tutti, volesse poterli giudicare al paragone di un archetipo che s'aveva prima formato nella mente. Il quale dovrebb'essere l'idea del bello; se di essa codesti critici 11011 stessero ancora cercando la definizione. Pertanto io credo, che il criterio letterario od estetico che si voglia dire, quando natura 11011 ti abbia negato ingegno arguto e cor gentile, si formi essenzialmente colla lunga e diligente osservazione dei grandi esemplari. Tu paragonandoli tra loro, e qoii quelli d'altre età e d'altre genti, discopri in tutti i comuni caratteri della