CAPITOLO I. —1 CONSIDERAZIONI GENERALI.
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Più lontana dalla imitazione greca e più segnata del carattere romano fu sin dalle origini, e si mantenne in ogni tempo la prosa, nella quale, se ne togliamo la filosofìa (1), è lecito dire che 1 Romani una volta scaltriti da'loro maestri seppero stampare ormo veramente proprie. Nèla cosa poteva essere diversamente, se pensiamo quanta parte avesse nel maneggio de' privati e pubblici aftàri l'eloquenza, fonte copiosissima di lucro, d'autorità, di possanza, e scala ai sommi onoi non solo durante la libertà ma eziandio ne'più tristi tempi dell'impero. All'eloquenza tenne poi dietro la storia, maestra a tutti di v.rtù cittadine, e dimostratrice ai grandi del modo come le signorie si acquistino e si conservino. In entrambi questi geneii di letteratura i Romani mostrarono tale eccellenza da emulare ì Greci: nò cedeva ad un senso di orgoglio patrio Quintiliano, quando dopo aver concesso clie Virgilio era secondo ad Omero, non dubitava di contrapporre animosamente Cicerone a Demostene, Sallustio a Tucidide, e ad Erodoto Tito Livio. «Non liistoria cesserit grcecis, nec opponere Tliucydidi Sallustium verear. Neque indignetur siln Herodotus aequari T. Livium.... Oratores vero precipue latinam eloquentiam parem facere grsecro possint. Nani Ci-ceronem cuicunque eorum fortiter opposuerim» (2). E nella storia furono ì Romani fors'anco superi or. ai loro maestri, giacche dice bene Wolf non avere i Greci alcun istonco che si possa, per esempio, paragonare con Tacito. Intelletto veramente singolare, e che non ha forse chi l'uguagli in nessuna letteratura (3).
Da questi primi e generali caratteii della letteratura romana, che venni brevemente delineando, un altro poi ne deriva di non minor rilievo, ed è ch'essa non potò essere c non fu mai generalmente popolare, nel senso almeno che noi diamo oggi alla parola. Nata insieme colla buona lingua all'ombra delle caso patrizie, e da'patrizii stessi per lungo tempo custodita e protetta contro le paurose ire de' vecchi pregiudizn e la rozza indifferenza delle moltitudini, frutto di imitazione e di studio più che di spontanea creazione, recata dal di fuori, non sorta e cresciuta dai sentimenti, dagli usi, dalle credenze del paese; essa non poteva farsi già sul bel principio popolana con volghi che non l'intendevano, e che, per addurre un solo esempio, due volte di seguito lasciavano di udire l'Ecira di Terenzio, per correre all'annunziato spettacolo d gladiatori o di funamboli. Nò migliore o più educato ai sentimenti del bello era il volgo di Roma anche ai tempi di Orazio, nel più gran secolo della civiltà e della letteratura; chè anzi il cattivo gusto e l'ignoranza della plebe si venivano appiccicando ai cavalieri, fatti anch'essi desiosi più di veder spettacoli clic di udir carmi.
Sarpe etiam audacem fugai hoc ter retane poetam, Quod numero plures, virtute et honore minores, Indocti stolidìque et depugnare parati, Si diseordet eques, media Inter carmina poscunt Aut ursum aut pugiles: his nani plebecula gaudet. Verum equitis quoque jam migrarti ab aure voluptas Omnis ad incertos oculos et gaudia vana,. Quattuor aut plures aulaea premuntur in lioras, Bum fugiuni equitum turmae peditumque caiervae (4),
(1) Cicerone in un momento di troppo orgoglio cittadino giudicò e disse i Romani originali e su* periori ai Gvec; 11 tutto, e quindi anche in filosofia, scrivendo nelle Tusculane questa sentenza clic il tempo non ha confermato: Meum semper judicium fuit or,mia nostros aut invenisse por se sapientius quam Graecos, aut accepta ab ittis fecisse meliora, qaae quidem digna statuissent in quibus elaborarent.
(2) Instit (*al Lib. X, cap. 4, $ 101, 105.
(3) Madama Staci in alcune belle pagine sulla letteratura romana (Tomo IV delle Opere, capo 6) scrisse. Tacila est la seul écrivain de Vuntiquité qui uit réani ces deux qualités à un degré presque égal — d'étre un grand moraliste et un bon historien,,
(4) Episl. IJ. 1 482.