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Processo fatto subire in Napoli nell'anno 1863 alla Principessa Carolina Barberini Colonna di Sciarra nata Marchesa di Pescopagano
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ponto che l'oratore fa un'apostrofe al Quattromani, che gli frutta il plauso e la emozione di tutto l'uditorio; emozione e plauso che finiscono di coronare la sua calda ed imaginosa perorazione: in fin della quale egli fa appello, non all'indulgenza, ma alla giustizia dei Giurati ; perchè il nome della Principessa Colonna di Sciarra si rilevi puro d'ogni macchia al cospetto dell' Europa, che tutta intiera tiene gli occhi fissi su questo giudizio.
Era già tardi abbastanza, ed il Presidente invitava a parlare il signor Casella; quando un Giurato levossi a dire, che l'ora inoltrata e la gravezza della causa non consentisse tirarla più a lungo. Ma il Presidente esortò i Giurati a dar pruova di abnegazione; ed allora il Casella si accinse. Ma dopo breve tratto l'udienza fu sospesa, e il resto del discorso rimandato al domani.
Nel di 4 il Casella riprese il suo dire. Egli avea cominciato dallo svolgere alcune preziose idee su la genesi delle cospirazioni, descrivendo i vari più o meno staccati divisamenti , e i diversi stadi pe' quali passano, e dimostrando come solo negli ultimi riconoscer si possa realmente la risoluzione concertata e conchiusa. Ei paragonavate a una catena, che solamente allora si può dir tale quando i vari disgiunti anelli di essa vengano tutti a congiugnersi e coordinarsi in modo e numero baslevoli al loro uopo. Ora poi soggiugne che, trattandosi di propositi contra Io Stato, a differenza di quelli contra il Re, non possa darsi tal perfetta cospirazione senza il prestabilito concorso di forze esterne o di bande armate nello interno; concetto già da lui splendidamente annunziato in altre simiglianti cause. Che i vaghi disegni, le opere inani e disgregate, ricadono nella vieta e non ignota teorica dei fatti generali, già applicata nel processo dei repubblicani d'Inghilterra sotto Carlo II, ma
oggimai condannata dalla scienza, e pHi ripudiata dalla coscienza universale. Egli cita pure in appoggio di queste gravi idee Macchiavelli, Rossi, Guizot, Orlolan.
Discendendo poi alla causa, si fa animoso a dimostrare, come nel fatto in esame, bene interpretate quelle lettere in cifra, e lealmente rilevatone il significato, sul che molto felicemente si versa, non v'à bande nè armati, non disegno di stragi o devastazioni, non mezzi efficaci e convergenti per mutare o distruggere il Governo; non v'à quindi vera cospirazione. Che anche ad , ammetterla, il Quattromani cieco non poteva effettivamente parteciparne, consentendogli appena la cecità sua un desiderio, un prò- ( posilo, non mai un progetto per lui mede- j simo attuabile, in che sta appunto l'essenza di questo reato.
Rammentando in un punto la fastosa imagine del Pubblico Ministero, che paragonava l'Italia a una piramide, irta di spine alla base, ma irradiata il comignolo d'una vivissima luce, la sua unità e indipendenza; l'oratore graziosamente esclamava: a Ma che farci, se il Quattromani non può veder tanta ' luce? Egli è cieco I ».
Grandiosa fu poi la conclusione. « Se al miracolo della unità Italiana, ei diceva, che per compiersi ebbe mestieri d'un uomo prodigioso che di sua fama riempie amendue gli emisferi, vi à qualcuno che tuttavia non creda; l'Italia incontrandolo nel suo cammino, fa come i forti: guarda e perdona ».
Questa splendida orazione , sostenuta per ben quattr'ore con calor pari e con la più maschia eloquenza, fu a malgrado le insistenti avvertenze del Presidente, interrotta assai spesso e coronata da fragorosi applausi.
Finite le arringhe, il Presidente, interrogando gli accusati se avesser altro da ag-giugnere, dichiarò chiuso il dibattimento. Qui fu un momento di calma solenne, in-
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