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Processo fatto subire in Napoli nell'anno 1863 alla Principessa Carolina Barberini Colonna di Sciarra nata Marchesa di Pescopagano
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scia con solidi argomenti dimostrò la colpabilità del Quattromani come agente principale di essa. Al quale uopo s'intrattenne lungamente e con molta acuta precisione, a discorrere delle lettere in cifra, attribuendo ad esse un volere ben grave.
Dopo qualche istante di riposo, fecesi a trattar la causa in rapporto alla Barberini. Egli adoperò tutto il prestigio del suo naturale acume e possente facondia, a porre nella maggior luce i pochi indizi processuali in suo danno, confortandoli con le più sottili ed accurate induzioni morali, per dimostrare che la Sciarra non ignorasse il contenuto delle gravi lettere in cifra.
Provocò in fine dai Giurati un verdetto affermativo, sì pel Quattromani, e sì per la Sciarra, conchiudendo che, in una cospirazione ingiustificabile per lo scopo, inqualificabile pei mezzi, era doloroso e sconfortante vedere compromessi una donna si cospicua ed un uomo appartenente alla classe eletta della società: e però, atteso la condizione sociale degli accusati, non che per la gravezza del fatto, avea creduto necessaria la severità.
II suo zelo e la finezza dei suoi argomenti furono più che mai per questa causa ammirati ; ed in vari punti il suo discorso riscuoteva segni di approvazione, che in fine divenivano manifesti applausi.
Ma più e più sensibili, non ostante gl'i-Cerati richiami del Presidente, se l'ebbero i tre difensori: dei quali nuli'altro qui diremo, già assai nota essendo la calda e fiorita eloquenza del Tarantini, l'erudito e vasto sapere del Casella ; e bastando ripetere pel giovane Mazzetti ciò che merita-menlo i suoi colleghi ne dicevano, che un brillante avvenire non è già per esso lui un voto e una speranza, ma una realità conseguita.
Costui assumendo a sé la prima parte della difesa, che d'ordinario è quella di
fatto, cercò istillare nell'animo dei Giurati il più gran dubbio sulla colpabilità del Quattromani. Pel che si valse di belli e robusti argomenti; ed eloquentemente intrat-tennesi sulla cecità di costui, dimostrando come quella misera condizione il rendesse incapace di ambire, e più anche inetto al cospirare. Toccò poi della onestà del Quattromani, che non avrebbe siffattamente abusato della fidanza di una dama, a liii nota e cara sin dall'infanzia. E si fermò sull'osservare che, se fosse stato veramente colpevole, avrebbe, subito dopo l'arresto della Barberini, cercato un sicuro scampo nella fuga della quale ben si ebbe T agio ed il tempo.
La sua arringa fu energica, ricca di perspicui tratti, e ben sovente applaudita.
Sorge di poi il Tarantini, difensore della Sciarra. 11 quale cominciando dal rammemorare la stirpe nobilissima e l'alta condizione sociale della sua cliente, assisa oggi all'umile scranna dei delinquenti, fa da tale contrasto risultare la più scolpita attuazione della maestà della legge, con che egli spiega il numeroso ed insueto concorso che questa causa à richiamato. Le tinte grandiose di cotesto esordio sono accolte dal pubblico con segni di ripetuta approvazione. « Ma se la legge à trionfato, egli esclama, uopo è trionfi anche la giustizia ». Ed è così che si fa strada a dimostrare la innocenza della sua cliente. La Principessa non potea avere scienza di quel che si contenesse nelle lettere in cifra: perchè desse rranle stale affidate in un piego chiuso; perchè questo piego chiuso era diretto ad un gentiluomo, cui dentro davasi l'incarico di ricapitarle; perchè ella portavate senza alcuna riserva; perchè lungi da scomporsi, volontariamente le presentò con le altre agli agenti della Questura; perchè in fine ella aveale ricevute dal cav. Quattromani, antico amico di sua famiglia, del quale non ' avrebbe mai potuto sospettare. E in questo