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Processo fatto subire in Napoli nell'anno 1863 alla Principessa Carolina Barberini Colonna di Sciarra nata Marchesa di Pescopagano
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sione soll'uditorio, l'oratore procede all'esame di altri elementi di minor conto mentovati dall'accusa a carico dèlia Principessa, tra i quali passa in disamina la lettera del Consultore Roberti, il cui contesto trova tolto di peso dalle meditazioni del Segneri, e proprio dalla meditazione del 1° di gennaio, giorno in cui era scritta la lettera, il che toglie ogni diritto ad interpretare in un senso criminoso o anche solamente sospetto quelle parole.
« D'altronde, egli dice, chi non conosce l'indole pacifica ed inoffensiva di Roberti — egli era il consulente della Principessa , e però la di lui prudenza non poteva in lei ispirar che piena fiducia. Egli scriveva all'ex Re che era stato suo allievo. Eravi qualche cosa di così naturale, e nel tempo stesso di così nobile in una esternazione di affetto, indiritta specialmente ad un potere tramontato che la Principessa, anche Se indiscretamente avesse percorso le parole di quella lettera, non avrebbe avuto ragione alcuna di preoccuparsene.
« Resta non per tanto (dice qui l'oratore) il più grave, il solo argomento anzi, che contro la Principessa siasi con un qualche fondamento invocato.
« Quattromani era il di lei amico , e Quattromani anche cospiratore è sempre un distinto gentiluomo, à detto l'accusa: Non è possibile quindi che Quattromani ingannasse la Principessa. Sia che egli avesse dettato le lettere, sia che ne fosse semplicemente sciente, era impossibile che non comunicasse la sua scienza alla Principessa nel dargliele?
« Ingrata, o Signori (dice qui l'oratore ingrata è per noi questa discussione, e tanto più ingrata, quantochè nel compierla noi dobbiamo cominciare dal chiarire come l'accusa si appoggi su di un gravissimo errore, dal cui chiarimento risulta, che anche ritenuta la colpabilità della Principessa, la
condotta del cav. Quattromani non potrebbe andare esente da uguale, e forse da maggior riprovazione.
« Che vale in fatti avvertire una donna del pericolo che potrebbe correre, quando questo pericolo sta in noi di allontanarlo da lei, e siam noi invece che volontariamente , e senza necessità ve la cacciamo dentro?
« Che cosa valeva dire alla Principessa, esperta senza dubbio in ogni più squisita forma di convenienze sociali, ma non certo fra i maneggi di parte — dire a questa donna che in quelle lettere vi erano delle scritture criminose e pericolose, quando era egli uomo maturo, egli intelligente, egli uomo di esperienza , egli solo che potea misurare la portata e la estensione di quella criminosità , e però la gravezza di quel pericolo?
a E se questo uomo era l'amico di quella donna, se questo uomo beneficato dall'Ava di lei, avea per quella religione che promana dal beneficio, giurato di proteggerla, di tutelarla di buoni consigli, di preservarla dai tristi — come, o Signori potrebbe ammettersi che quest'uomo, senza mancar di lealtà e di cuore , prevedendo il pericolo della Principessa, accettasse l'opera sua che inconsideratamente volesse in quel pericolo avventurarsi, o non facesse invece ogni opera per trattenerla.
a Ma Signori (interrompe qui l'oratore mosso dall'impressione che vede le sue parole produrre sull'imputato Quattromani) noi non possiamo proseguire : noi veggiamo che queste parole trafiggono come dardi avvelenati il cuore di quello sventurato , e noi non vogliamo aggravar la sventura che lo ha troppo raggiunto colle tenebre che lo circondano.
t No, Cavalier Quattromani, voi non potete che esser innocente quale vi dimostrò il vostro strenuo difensore. Avvezzi a
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