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Processo fatto subire in Napoli nell'anno 1863 alla Principessa Carolina Barberini Colonna di Sciarra nata Marchesa di Pescopagano
dichiarazione del Senatore Gallotti, e da un attestato dèi Municipio di Gagliano in Abruzzo, ove ella aprì le sue case alle truppe che combattevano il brigantaggio senza volerne accettare mercede, l'oratore si propone egli medesimo un'obbiezione per aver motivo a combatterla.
Ma se il denunziante, egli dice, potè mentire in ciò che non ha provato, come egli non pertanto venne in cognizione di ciò che la sorpresa poi verificò ? Come, se le pratiche della Principessa non fossero state sospette, il denunziante avrebbe potuto supporre quello die la perquisizione dimostrò vero?
Ad eludere questa grave obbiezione l'ora* tore passa a rassegna diverse ipotesi. Le lettere date alla Principessa da Quattromani cieco dovettero o essere a lui date da altri o essere scritte da altri sotto la sua dettatura. Ecco dunque un in tervento di altre persone ohe potè facilitare la divulgazione di quel segreto. « E chi dice che chi scrisse o chi dette le lettere a Quattromani non ebbe in animo di perder la Principessa, e quando ebbe fatto capitargliele in mano non fu esso stesso, esso che cela con tanto studio il suo nome, che la denunziò all'autorità.
« Ma d'altra parte (prosegue l'oratore) il denunziante non parlò di lettere in cifra, ma solo di lettere sospette, e la lettera del Sig. Roberti indiritta a Francesco li era certamente di questo secondo genere, e questa lettera era stata scritta senza mistero; era stata consegnata pubblicamante; la Principessa l'avea ricevuta senza metter su lei alcuna importanza. L'esistenza di questa lettera presso di lei avea dunque potuto facilmente venire in cognizione del denunziente, ed occasionar la denunzia. La sorpresa delle lettere in cifra potè quindi avvenir bene per una mera accidentalità.
« Checchessia frattanto di tutto ciò, quel che risalta evidente si è die alcuna pruova,
0 indizio precedente non colpisse la Principessa per poterla soppor partecipe al segreto delle lettere. Contro di lei non sta dunque che la sola detenzione materiale di esse. La scienza in questa detenzione bisognerebbe supporta, bisognerebbe presumerla senza elemento alcuno di fatto precedente che la giustifichi.
« Che si dirà intanto quando si vedrà che i fatti concomitanti, e più che questi
1 fatti proprio permanenti della causa la dimostreranno impossibile ?
Per siffatta maniera l'oratore si fa strada alla discussione vitale della causa, e dimostra l'assunta impossibilità coi seguenti argomenti:
c II piego era chiuso, egli dice, e diretto al Duca di Brienza. Era dunque il Duca di Brienza, che aprendolo doveva dar ricapito alle lettere in cifra, che vi si eoa-tenevano. In fatti nel piego stesso enti una lettera al Duca, con che se gli dm quell'incarico. La Principessa dunque non solo non doveva aver conoscenza che nel piego vi eran due lettere a Clarenzio; aa non dovea neppure aver conoscenza di dii fosse Clarenzio, nè che un Clarenzio esistesse al mondo, tosto che non era chiamata essa a distribuir quelle lettere.
« Or come si spiegherebbe questo procedere. Non era egli più spedito, se la Principessa era a giorno del mistero delle lettere, che essa direttamente inviasse quelle lettere ai destinatari, anziché far che essa le inviasse a Brienza, e che Brienza dovesse poi inviarle a codesti destinatari? Ma ciò non è tutto. Le lettere in cifra eiaa due, una indiritta proprio a Clarenzio, l'altra indiritta a Clarenzio ma acchiusa in ahia lettera per Monsignor de Ruggiero, ed entrambe poi soccartate a Brienza. Adunqae mentre le due lettere destinate a Ciana-zio erano entrambe recate dalla Principessa esse non sarebbero arrivate al loro destino,