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Processo fatto subire in Napoli nell'anno 1863 alla Principessa Carolina Barberini Colonna di Sciarra nata Marchesa di Pescopagano
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tronde la immanità di un misfatto di sangue, la espettazione destata da una pena capitale, che per la prima volta apparecchiatasi ad esser librata non più nella bilancia della legge, ma in quella della coscienza, bastavano allora ad esplicarla.
« Sarebbe mai vero che la coedizione sola degl'imputati, e specialmente della nostra cliente, richiami su questo giudizio una sì inusitata ed eccezionale attenzione ! Sì, o signori; ma affrettiamoci a notarlo. Non è già una puerile avidità di spettacolo, nè una vana e passaggi era curiosità, che richiama intorno a noi tanta espettazione. Egli è che mai come oggi, mai come nel veder là dove sedeva la donna del popolo, assisa oggi l'erede di quell'illustre, che Redi chiamò la folgore del foro napoletano, la madre del giovinetto che compendia nel suo cognome di Colonna nove secoli di altissima nobiltà, e di splendida gloria italiana ; mai come dopo questo raffronto non fu meglio attuata in questo recinto la maestà della legge; mai non fu più visibilmente sperimentata quella uguaglianza degl'incolpati innanzi alla giustizia, che le novelle generazioni vollero scritta a grandi caratteri in fronte ai vostri tribunali.
« La vedova di Maffeo Colonna, la nuora di quei grandi che spesso intrecciarono le regie insegne alle loco corone di principe, oggi non è per voi, o signori, che un'incolpata. Il suo destino è nelle vostre mani, come lo fa non ha guari il destino della donna plebea. Ogni distinzione sociale si è per lei innanzi a voi ecclissata. Essa non potrà ritornare allo splendore dei suoi palagi, che quando voi, come fareste per qualunque altra donna, la prodamiate assoluta. Essa non potrà rialzare il blasone della sua casa, che quando voi lo dichiarate incontaminato. E voi, o signori, a volta vostra non potreste farlo, che quando noi vi avremmo provalo la sua innocenza.
« Così la sterminata estensione dei vostri poteri è equilibrata dalla santità detta vostra missione. E sarto nell'attuazione di sì augusti principi il vostro verdetto (che noi non possiamo non augurarci favorevole) conterrà, o signori, la promulgazione di due grandi ammonimenti sociali. Imperocché da questo giudizio risulterà chiaro coae la legge neHa sua onnipotenza sia davvero l'assoluta signora dell'universo; ma al tempo stesso, come non potendo la legge esser che giusta ed imparziale, la umanità giudicata dalle sue opere resti sempre l'arbitra vera ed incontestata del proprio destino. (applausi prolungati)
« E noi siamo già in via, o signori. Noi avevamo ad appresentare una incolpata ai piedi del vostro tribunale. Or non ci resta che addimostrarvi per quale fatale ed iai-meritato errore, essa vi sia trascinata. Sarà da voi il rilevarla a quella dignità d'innocenza, che vai bene tutte le altre, e segnalar questo giorno, che lo fu già dal trionfo della legge, col trionfo ancora deUa giustizia.
L'oratore, dopo questo esordio, senza farsi a ripetere la storia dei fatti, comincia non per tanto dal far notare come quei fritti brevi ed evidenti nel loro sviluppo sembrano avviluppar nelle tenebre più impenetrabili la loro origine.
c Mai come in questa causa, egli continua , noi non vedemmo appalesarsi una contraddizione più palpabile nello svolgimento della prova giuridica—mai vedemmo in un contrasto più brusco il troppo ed fl nulla, la evidenza ed il mistero nella prò* gressione degli elementi processuali. Qui vuoisi rispondere alla giustizia di lettere, in cm dicesi contenersi tutta intera la rivelazione d'una cospirazione, e queste lettere furono sospettate, furon seguite, furoa colte nette mani della Principessa, proprio nel punto, in cui essa stava per recarle alia
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