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Processo fatto subire in Napoli nell'anno 1863 alla Principessa Carolina Barberini Colonna di Sciarra nata Marchesa di Pescopagano


1864, pagine 319

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a cura di Federico Adamoli

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   Il signor Giliberti diaimpegnò la saa parte con molta maestria di concetto e larghezza d'intendimento, richiamando i capi tatti di accusa e chiedendo infine un verdetto di colpabilità.
   Dopo di lui sorse ad arringare il giovane avvocato Mazzetti in favore del sig. cav. Quattromani; imprendendo a dimostrare come avesse potuto costui essere stato facilmente ingannato dalla sig. de Medici, che fu forse colei che introdusse nel plico le lettere in cifra; — come il sig; Quattro-mani, cieco, fpsse nell'impossibilità di cospirare. Ed il suo raggionamento, poggiato sulla infermità onde va affitto il suo cliente, raccolse non ostante i ¦ richiami del presidente, numerosi applausi.
   Terminato il discorso del sig. Mazzetti, il sig. cav. Leopoldo Tarantini, difensore della signora principessa Sciarra Barberini, prese a parlare.
   Dopo un brillante esordio, l'oratore passa a dimostrare come lutto quello che s'è detto intorno alle pratiche tenute in Napoli dalla principessa, ed ai convegni borbonici nella sua casa non sia che un'esagerazione. L'autorità non ha saputo indicare un nome solo di codesti borbonici. Questi convegni adunque mai non esisterono , e l'autorità non fu sospinta a far perquirere la principessa nel suo viaggio che da una denunzia anonima, presentata contro di lei la vigilia della sua partenza. L'oratore spiega come questo denunziarne potè venire in conoscenza che delle lettere fossero state a lei consegnate, sia per imprudenza sia per tradimento di chi le rimise. Accenna che probabilmente il denunziarne altro non seppe della lettera di Roberti, la quale fu data alla principessa pubicamente, e ricorda come le denunzie anonime eran respinte da leggi espresse sotto i Borboni, e non debbono essere accettate oggi innanzi ad una corte di assisie del governo italiano. Venendo a parlare
   dette opinioni della principessa, ricordala testimonianza; resa in suo favore dal senatore barone Galloni, ed indi facendosi ad esaminare le lettere incriminate, fa risaltare come in esse tutti gli affiliati abbiano nn nome di convenzione ed intanto la principessa che è nominata in una di quelle lettere come la portatrice di essa, è indicata col suo nome proprio, appunto com'è indicato il generale Lamarmoru, di cui pure in quelle lettere si parla.
   Tocca dell'assurdità di supporre che la principessa, sciente de'segreli dell'affiliazione, fosse riserbata all'ufficio di portatrice di lettere chiuse piuttosto che di messaggiera e conforta anche più quell'argomento col» l'osservare che nel nominarla, lo scrittor delle lettere, non accenna una parola sola che rilevi la sua aderenza o anche le suei simpatie per l'affiliazione. Chiude infine la' prima parte del suo dire col fare notare, che le lettere in cifra erano chiuse in un piego diretto al duca di Brienza che avea l'incarico di distribuirle, cosicché la principessa non era neppur chiamata a conoscere coloro pe'quali le lettere erano destinate.
   Parla indi l'oratore del modo come la principessa portava il piego contenente le lettere in cifra, cioè confuso con tutte le altre lettere indifferenti: soggiunse esser questa un imprudenza non verisimile poiché la principessa sapeva che pochi mesi prima la principessa Colonna, sua cugina, era stata perquisita nello stesso luogo. Rileva la sua calma, e la sua tranquillità dell'atto nella sorpresa rileva come solo la lettera di Roberti essa avesse cercato di sottrarre alla perquisizione, e da ciò conchiude: che essa dunque sol di quella si preoccupava, ignorando assolutamente esservene nel piego delle più: pericolose.
   L'oratore termina il suo discorso con, queste parole:
   Signori Giurati, noi non vogliam par-