Storia della medicina in Roma di Giuseppe Pinto
 
  
  
  
  
 
     
I
 
     
— 116 —
 
     
« morbi, (sic enim scribit Curius), spero te, diligentia adhibita, « etiam firmiorem fore. »
 
     
Lo stesso scrivea a un Marco Trebazio che chi soffriva di quartana dovea adoperare un ottimo fuoco, qui quartana laborabat* luculenlo camino utcnclum esse.
 
     
E con lo stesso mezzo consiglia Orazio (J) a non fare risparmio .di legna quando intensissimo freddo assalga il febbricitante.
 
     
Dissolve frigus, ligua super focumLarga reponens
 
     
Era chiamata la febbre anche querquera quasi che la vigorìa e altezza della medesima potesse equipararsi alla forza della querce, da cui deriva la parola; perchè quest'albero oltre d'essere grande e robusto, giunge talora a smisurata ampiezza.
 
     
Secondo Yerrio Fiacco un Aurelio Opilio ammetteva una febrem frigiclam cum liorrore trementem.
 
     
E il festivo Plauto nella Frivolaria dice:
 
     
is milii crat bilis, querquera tussisalludendo forse al colorito speciale giallastro che le febbri miasmatiche , se ostinate e gravi, danno alla pelle; colore che deriva dall' ipertrofia dei visceri e dall' indole stessa della cachessia da malaria. La stessa parola tosse; buttata forse a caso, non sembra pure fuori di luogo, e serve a provare come sia nella natura di siffatta malattia, se vi si aggiungono patemi, soverchia fatica, povera e cattiva nutrizione il predisporre alle lenti affezioni catarrali e alla tubercolosi polmonare eziandio. Ed altrove segnala il sintomo speciale della tinta subitterica, così comune negli infetti da miasma : is miJii crai bilis querquetatus.
 
     
Il satirico Caio Lucilio dicesi pure tormentato dalla febbre.
 
     
Labro iactans me ut febris querquera terreted altrove
 
     
Querquera consequitur febris, capitisque doloms.
 
     
(1) Okaz. — Lib. i. Ode 
 
  
  
  
  
 
  |     | 
 
 
  
 
 
 Curius Marco Trebazio Orazio Yerrio Fiacco Aurelio Opilio Plauto Frivolaria Jii Caio Lucilio Okaz
 
  |