ATTO SECONDO -- SCENA 111
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Non ti vide cogli occhi : egli non ama Che la tua rinomanza, il tao splendore:
10 non amo che te! (piando tu fossi La più nuda de' boschi pastorella. Ivi io seduto sul maggior de' troni, Scendere mi vedresti alla negletta Povertà del tuo stato, e la corona A' tuoi piedi depor.
Elisab. Non mi garrite...
Compiangetemi, o conte! lo già non posso Consultare il mio cor; se lo potessi Altra, scelta farei. Quanta 11011 porto, Quanta, invidia, o Ruberto, all'altre donne, Che, libere del core e della destra. Sollevano l'amato! Io fortunata Tanto non son di porre a mio talento Sulla fronte più cara una. corona. Rea l'osò la Stuarda. Ella fe' dono Della regia sua mano all'amatore. 15 E che mai si disdisse? Tosino al fondo
11 calice gustò delle dolcezze.
Leicest. L'amaro 01* gusta delle sue sventure. Elisab. Ella si rese agevole la vita, Nè piegò la cervice al grave giogo Ch'io medesimi m'imposi. Erami lieve II fruir della vita e dei terreni Suoi godimenti; ma prepor mi piacque L'alta cura del regno. E nondimeno Vinse costei degli uomini l'affetto. Perchè mise ogni studio in esser donna. Giovani e vecchi d'un error son presi. Tutti son d'una tempra, e tutti inchini Al diletto de' sensi! Avidamente Seguono l'allegrezza e la, follìa, 4 E non sanilo apprezzar chi si fa bello vere virtù. Questo canuto
tore: a Giacomo Hepburn, conte di Bothwell.