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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincie di Reggio Calabria - Catanzaro - Cosenza
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1900, pagine 258
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l'arte Quarta — Italia Meridionale
fu ripreso e chiuso nel piccolo forte di Martirano, ove inori in capo ad alcuni giorni in circostanze misteriose.
Sotto gli Angioini, Nieastro rimase città di regio dominio come sotto i Normanni e gli llohenstaiifen. Ciò costituiva per essa una situazione privilegiata in sommo grado al paragone di quella delle altre città della Calabria, le quali appartenevano, trattone Reggio, ai baroni e sottostavano al regime feudale pili rigoroso.
Nel 1419 la regina Giovanna II diede Nieastro in feudo al suo drudo, Ottinio Caracciolo, ma la città gli chiuse in faccia le porte e le venne fatto tenerlo lontano finché Giovanna, non ineii volubile che dissoluta, divenne sazia ili lui e se ne sbrigò facendolo mettere a morte.
Nel 1408, e negli anni seguenti, dopo la morte di Scanderbeg e la conquista del suo principato pei Turchi, Alfonso I stabilì in Calabria 34 colonie di emigrati Albanesi. Due furono collocate nei dintorni immediati di Nieastro, a Zangarona e a Gizzem. Alcuni anni dopo, domata, nel 1185, fa grande e celebre Congiura dei Baroni, Ferdinando I formò una vasta contea aggregando Nieastro, Feroleto, Maida ed Acconia e la diede al figliuol suo Federico, ammogliato ad Isabella Del Balzo, la quale aveva ereditato feudi immensi dal suocero decapitato fra i ribelli principali, fra gli altri il ducato d'Andrà, il principato d'Altamura, ecc. In seguito, divenuto re per la morte del nipote Ferdinando II, questo stesso Federico diede la contea di Nieastro a Marcantonio Caracciolo. 11 feudo costituito in tal guisa rimase ai Caracciolo sino al principio del secolo XVII e passò poi per eredità ai D'Aquino che lo tennero sino al 1799.
PI sino al 1799 l'istoria di Nieastro altro non offre di notevole che la visita di Carlo V nel 1535, al ritorno dalla sua spedizione vittoriosa contro Tunisi; l'elezione successiva di due dei suoi vescovi alla sede pontificia (vale a dire nel 1555, di Marcello Corvino che prese il nome di Marcello II e, nel 1591, ài Gianantonio Facchinetti che divenne Innocenzo IX), e per ultimo il treinuoto indimenticabile del 27 marzo 1G38.
Questa catastrofe si estese lungo tutta la costa occidentale della Calabria, distruggendovi intieramente 50 fra città e villaggi ed uccidendovi 12.000 persone. Ma in verini luogo le sue devastazioni furono terribili come a Nieastro. La città fu atterrata quasi per intiero; fiochi edifizi rimasero ritti e questi danneggiati in sommo grado, ferirono 1190 infelici seppelliti sotto le rovine, più del quinto di quel ch'era allora la popolazione di Nieastro. Era la vigilia della domenica delle Palme. I popolani, usciti fuori nei campi pei lavori agrari, furono generalmente risparmiati; al contrario, la più parte della nobiltà rimase subitaneamente sepolta. Era infatti adunata per una festa religiosa nella chiesa di San Francesco, la quale, rovinando alla prima scossa, schiacciò, pochi eccettuati, tutti coloro che vi si trovavano. Le poche ampie strade, Corno Numistrauo, che si veggono ora nella parte inferiore della città, furono costruite quando risorse dalle sue rovine dopo il tremuoto.
Durante le guerre della Repubblica e dell'Impero francese, Nieastro fu, di bel nuovo, il teatro di avvenimenti che interessano l'istoria generale.
Nel 1799 la nobiltà della città, come generalmente quella della Calabria e della Basilicata, inclinava al liberalismo ed alle nuove idee, laddove il basso popolo, ignorante ed eccitato dal clero fanatico, le avversava. La nobiltà accolse perciò con entusiasmo la nuova dell'ingresso dei Francesi a Napoli e la proclamazione della Repubblica Partenopea. Il nuovo governo fu tosto riconosciuto ed acclamato e il vescovo, monsignor Pellegrino, ne salutò l'avvento con un solenne Te Deum e benedisse VAlbero della libertà. Scorso appena un mese la scena cambiò. All'annunzio dello sbarco del cardinale Ruffo a Pagliara e della regia reggenza da lui costituita, come abbia ni visto, a Mileto, il popolo insorse e rovesciò la bandiera della repubblica e l'albero della libertà gridando Viva, il re e morte alla nazione! Nella sua crassa ignoranza credeva che