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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincie di Reggio Calabria - Catanzaro - Cosenza
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1900, pagine 258

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Catanzaro
   109
   costretta a ricomprare i suoi privilegi al prezzo di 15.000 ducati per l'esenzione dalla giurisdizione feudale e di altri 15.000 ducati pei diritti fiscali venduti dal re in un con la signoria. Questa gherminella, che altro non era stato che un mezzo di scorticarli, eccitava negli abitanti nn legittimo rancore contro Carlo V; ma eglino non si mostrarono però meli devoti alla monarchia spagnuola alcuni anni dopo, quando avvenne la spedizione di Odet I)e Foix, signore di Lautrec.
   Nel 1528, quattr'anni dopo la battaglia di Pavia, e l'anno susseguente al sacco di Ifoma per gli Imperiali, il celebre Lautrec, a capo di un esercito francese di 35.000 nomini, dopo attraversata l'intiera Altaltalia coll'appoggio dei vani Stati della penisola ch'erano entrati a far parte della Lega, stretta a Cognac nel 1520 fra il re di Francia, il papa, i Veneziani e i Fiorentini, il Lautrec, diciamo, penetrò, per gli Abruzzi, nel reame di Napoli. Era appoggiato dal doppio movimento della squadra veneta che operava nell'Adriatico e della squadra franco-genovese sotto il comando di Filippino Doria che manovrava nel Tirreno.
   Presa la città d'Aquila senza grande difficoltà, tutte le città dell'Abruzzo schiusero le loro porte ai Francesi. La nobiltà mostravasi in ogni dove favorevole ad essi e gli Spaglinoli erano isolati iu Italia. Era il caso di muovere direttamente contro Napoli sguernita di truppe e nulla era più facile che insignorirsene. Ma il Lautrec, che tanti errori commise in quella campagna decisiva, finche fu sconfitto alla Bicocca e morì, nel 1528, sotto Napoli, preferì recarsi a riscuotere ì pedaggi sui grandi armenti nei fratturi della Capitanata e perde di tal modo un tempo prezioso.
   11 principe d'Orange, accampato a Troja (in provincia di Foggia, circondario di Bovino), non gli poteva opporre che i residui dell'esercito, il quale, per ben otto mesi, aveva colmato Roma di calamità spaventose. Nel disordine e nella licenza in cui era piombato, dopo la morte del connestabile di Borbone, quell'esercito crasi assottigliato siffattamente che dei 40.000 combattenti cli'eransi presentati davanti Roma più non rimanevano che 1500 cavalli e 1000 fanti, un'accozzaglia di tutte le nazioni, Spaglinoli, Lanzichenecchi tedeschi, predoni italiani.
   Avendo il Lautrec preso Melfi d'assalto le città della Puglia si diedero a lui od ai Veneziani, eccetto Manfredonia che respinse ì corridori francesi. In siffatta situazione i generali dell'imperatore e re risolvettero di abbandonare l'intiero reame a sè stesso e (li concentrarsi nelle due sole città di Napoli e di Gaeta per opporre una energica resistenza. Fu allora che il Lautrec deliberò di marciar contro Napoli; ma troppo tardi, per essersi essa già accinta alla difesa. Capua, Nola, A ce ira ed Aversa gli schiusero le porte senza colpo ferire e negli ultimi giorni d'aprile si pose a campo davanti a Napoli, ove morì come abbiamo detto.
   Passando ad A e erra il Lautrec. aveva staccato dal suo esercito il romano Simone Tebaldi con 150 cavalli leggieri francesi e 500 Corsi disertori dell'esercito imperiale, incaricandoli d'impadronirsi delle Calabrie, mentre i Veneziani assediavano le città di Terra d'Otranto — Polignano, Brindisi, Lecce e Otranto — che dovevano, conforme alle convenzioni col re di Francia, essere cedute alla Repubblica di San Marco, in un con Traili e Monopoli.
   Tutta la nobiltà feudale della Calabria insorse contro la Spagna all'approssimarsi del Tebaldi e corse a schierarsi sotto la sua bandiera. Ma la fretta (li questa nobiltà nell'annunziare che il trionfo dei Francesi le servirebbe a ristabilire in tutto il suo vigore il regime feudale che Ferdinando il Cattolico erasi studiato di ristringere e battere in breccia, addusse un movimento in senso contrario nelle città che avevano ottenuto i privilegi del regio dominio. Esse non volevano a niun patto ripiombare sotto il giogo dei signori ed armaronsi in fretta e in furia contro il partito che avevano abbracciato i baroni. Per la qual cosa, Taranto e Cotrone, coinechè abbandonate a sè stesse, chiusero le loro porte a Tebaldi e respinsero le truppe che andarono ad intimare