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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincie di Reggio Calabria - Catanzaro - Cosenza
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1900, pagine 258
Provincia ili Catanzaro
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Oltreché dalla copia delle nderlo occasionali di grande valore il tempio derivava grandi ricchezze dalle Site entrate permanenti, segnalamento, dal bestiame, col prodotto del quale fu composta uria colonna d'orn massiccio esposta nel santuario. Adiacente immediatamente al tempio fioriva una selva mi, a meglio dire, una foresta di pini giganteschi, per entro alla quale stendevansi pingui pascoli pel bestiame del tempio.
Gli immensi tesori accumulati nel tempio di Giunone Lacinia vuoisi eccitassero la cupidigia di \nnilialc, ma egli fu ammonito in sogno dalla dea stessa a non toccarli: Prima di imbarcarsi per abbandonare definitivamente l'Italia, Annibale pose nel tempio ima gran tavola di bronzo con suvvi una duplice iscrizione in fenicio ed iu greco, contenente la narrazione ufficiate e particolareggiata delle sue guerre contro i Romani, tavola consultala e citata frequentemente dallo storico Polibio.
Ma, quantunqueil celebre santuario fosse stato rispettatoda Pirro e da Annibale, fu profanato dal censore romano Q. Fulvio Fiacco, il quale, nel 173 av. C., spogliò la metà del suo tetto delle lastre marmoree che lo coprivano in luogo di tegole per ornarne un tempio della Fortuna Equestre ch'egli stava innalzando in Roma. Il sacrilegio fu per vero censurato aspramente dal Senato romano, il quale ordinò clic le lastre rubate fossero riportate a Lacinia ; ma, nello stato di decadenza in cui trovavasi la provincia, riusci impossibile ricollocarle al loro posto.
Lo scadimento del tempio incominciò probabilmente da quel tempo, contemporaneamente a quello generale del paese e delle città adiacenti. Ma Appiano ci dice ch'esso era sempre dovizioso e pieno dì oblazioni sino all'anno 36 av. C., in cui fu saccheggiato da Sesto Pompeo. Strabilile dice clic il tempio aveva ai dì suoi perduto la sua opulenza, quantunque esistesse sempre. Plinio fa menzione del promontorio Lacinio, ma senza parlar del tempio. Pare però dagli avanzi esistenti, del pari die da un'iscrizione, Heine Lacinìue, rinvenuta nelle rovine, clic esso continuasse ad esistere qital sacro edilizio sino ad un tardo periodo.
Secondo Nola-Molisi — scrive il Lenormant nella Grande Grece — il tempio famoso di Giunone Lacinia era ancora quasi intatto, con le sue quarantotto colonne, al principio del secolo XVI e fu allora soltanto che il vescovo Antonio Lucifero ne ordinò la demolizione per adoperarne i materiali nella ricostruzione del palazzo vescovile in Cotrone. Quest'Antonio Lucìfero fu vescovo dal 1510 al 1521, al tempo dei pontefici Giulio lì e Leone X, e dei sommi artisti Raffaello o Michelangelo !
In un altro luogo del suo libro lo stesso Nola-Molisi dice che ai dì suoi rimanevano ancora ritte due colonne e clic sul pavimento rimasto intatto potevansi ancora disceniere facilmente i luoghi ove erano basate le altre quarantasei. Essendo il suo libro venuto in luce nel 16-19 abbiamo una data approssimativa per l'epoca in cui il tempio fu ridotto allo stato in cui si trova al presente. Probabilmente il terremoto del 1638 atterrò una delle dite colonne scampate al vandalismo episcopale. Ma dopo il secolo XVII, se l'unica colonna superstite è rimasta ritta, con la parte anteriore del basamento che la regge, nuovi vandali hanno ancora distrutto una gran parte di questo basamento per costruire, coi suoi gran massi scalpellati, i due muli del porto di Cotrone.
La colonna superstite (fig. 23) ha nel suo fusto sedici scanalature. La sua circonferenza inferiore è di metri 5,60; l'altezza totale col capitello metri 8,90. Come quello dì Selinuiite il tempio era
Fig. 23. — La colonna dfit tempio di Hera Lacinia.