Circondario di Castellammare di Stabia — Pompei
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la città non soggiacque alla sorte di Stabia e i suoi abitanti furono ammessi alla franchigia romàna, quantunque perdessero porzione del loro territorio, in cui fu stabilita dal Dittatore ima colonia militare sotto il comando e il patronato del suo congiunto P. Siila (Cic., prò Sul!., 21 ; Zumpt, de Colon., pagg. 254, 408). Prima del termine della Repubblica, Pompei divenne, con le altre città marittime della Campania, la dimora prediletta dei patrizi romani, molti dei quali vi possedevano ville nelle vicinanze immediate. Cicerone, fra gli altri, vi possedeva una villa, di cui fa spesso menzione sotto il nome di Pmnpeiamm, e che par fosse una delle sue residenze predilette: Tuscu-lanum et l'ompeianum, dice egli infatti, vaMe me delectant.
Sotto l'impero continuò Pompei ad essere sempre frequentata conte villeggiatura dai Romani. Seneca loda l'amenità della sua situazione e da lui e da Tacito apprendiamo ch'era ima città florida e popolosa, celebre oppidum (Tacito, Ann., xv, 22). In giunta alla colonia che ricevè, come abbiamo detto sotto Siila, e a cui allude un'iscrizione col nome di Calumet Venarìa Cornelia (JIommsen, Inscr. lì. N., n. 2201), pare ne ricevesse un'altra in un periodo posteriore, probabilmente sotto Augusto (quantunque Plinio non le dia il nome di colonia) come quella che porta codesto tilolo in parecchie edizioni (Mommsen, ì. e., 2230-2231).
Fig. 181. — Pompei: Antico bassorilievo rappresentarne la caduta di un tempio
(da De Rossi).
Nel regno di Nerone (59 di C.) scoppiò una rissa sanguinosa fra i Pompeiani e i neo-coloni di Nuceria, i quali avevano il diritto dì assistere agli spettacoli e ai ludi gladiatorii neH'anlitcalro di Pompei a spese di Levincjo Regolo. Dalle ingiurie si venne alle mani, ai sassi e per intimo alle armi. I Pompeiani rimasero vincitori, molli Kuceririi furono feriti, altri uccisi. Il Senato roma no sospese per dieci anni i pubblici spettacoli in Pompei, annullò i collegi gladialorii e mandò Levincjo in esilio (Tac.,Ann., xiv, 7). 11 fatto è ricordato anche da un dipinto con iscrizione rinvenuto a Pompei.
Solo quattro anni dopo questo tafferuglio, vale a dire il 5 febbraio del 63 dell'era nostra, un orrèndo tremuoto sconvolse l'intiera Campania. La scossa fu sentita a Napoli, e Nerone, che trovavasi in qj§ momento sul palcoscenico in teatro, non volle troncare la rappresentazione se non allorquando fu ammonito clic la sua vita era in pericolo. In Ercolano, le mura, le porte ed il tempio di Cibcle furono grandemente danneggiati. A Pompei, il tempio d'Iside e parecchi pubblici edilizi, fra cui la Basilica c il Fòro, crollarono e gli abitanti spaventati abbandonarono le case, c la città in rovina, có talché in Roma il Senato ventilò la proposti se si avessero ad abbandonare Ercolano e Pompei ovvero a restaurare. E stato trovato negli scavi, sopra un altare votivo, un bassorilievo (lig. 181), il quale rappresenta la caduta di uno dei templi del Fòro.
Ha i Pompeiani e gli Ercolanesi fecero poi ritorno ai focolari abbandonati c riedificarono in parie gli edifizi pubblici e le case private punto non sospeltando che quel tremuoto era il precursore di una assai più tremenda c memorabile catastrofe che doveva cancellare la loro città dalla l'accia della terra.