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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Napoli
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1896, pagine 450

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Par te Quarta — Italia Meridionale
   Pomponio Mola c da Floro, del pari che da Plinio, fra le città della costa della Campania è evidente che la non si alzò inai a paro dello più floride e splendide città di quella regione fortunata. Giova tener conto di ciò nell'apprezzare il valore delle scoperte clic furono fatte in Ercolino.
   Nel regno di Nerone (63 di C.), ebbe molto a soffrire da un treinuoto che mandò in rovina una gran parte della città, e danneggiò gravemente gli edifizi rimasti in piedi (Senec., N. Qti., vi, 1). Fu quell'istesso tremuoto che distrusse quasi Pompei, quantunque Tacito (Ann., xv, 22) lo faccia risalire all'anno antecedente. Sedici anni dopo, nel regno di Tito (79 dell'era nostra), una calamità ben più grande piombò addosso alle due città, vogliam dire l'eruzione eternamente memorabile del Vesuvio che seppellì le due città di Pompei e di Ercolano sotto un diluvio di ceneri, di arena e di lapilli (Dione Cassio, lxvi, 24).
   Ercolano, per la sua situazione alle falde del vulcano, fu naturalmente la prima sepolta e ciò è evidente dalla celebre Lettera di Plinio il Giovane, in cui si descrive la catastrofe senza però nominar uè Ercolano, nò Pompei. Retina o Resina, ove tentò sbarcare Plinio il Vecchio, che ne fu impedito dalla violenza dell'eruzione. Pompei era in vicinanza immediata di Ercolano, la cui prossimità al Vesuvio fu cagione che lo strato di materie vulcaniche onde rimase coperta, assumesse una forma più solida e compatta di quello che copri Pompei, ed e un errore il credere, come lian fatto non pochi scrittori, clic Ercolano sia stata sepolta sotto un torrente di lava. La sostanza clic la coprì non è altro che una specie di tufo vulcanico formata di arena e cenere accomunate e parzialmente solidificate dalla aziono dell'acqua, che erompe spesso in grandi quantità nelle eruzioni vulcaniche (Daubeny, On Volcanoes, pag. 222). La distruzione (1) dell'infelice città fu così compiuta, che non fu più possibile fare alcun tentativo per trarla fuori dal suo sepolcro e riedificarla: ma pare che una scarsa popolazione venisse a por sede di bel nuovo sul luogo ove giaceva sepolta; quindi è che noi ritroviamo negli ìtinerarii del IV secolo il nome di Herculaneum od Ercolano (Tab. Peuting.). Questo secondo e piccolo Ercolano par fosse di bel nuovo distrutto da un'altra eruzione vesuviana, quella del 472 dell'era nostra, e in seguito non si trovò più alcuna traccia della città e del suo nome.
   Quantunque la situazione di Ercolano fosse stata chiaramente fissata dagli antichi scrittori sulla costa, fra Napoli e Pompei ed alle falde del Vesuvio, tuttavia se no ignorava il luogo preciso, tanto più che nuove abitazioni, paeselli ed il real palazzo della Favorita v'erano stati edificati sopra.
   Scoperta «li Eresiano, — Verso la fine del secolo XV alcune scoperte di antichi ruderi, di musaici e d'iscrizioni porsero qualche indizio della città; con tutto ciò credevasi generalmente ch'essa fosse sepolta sotto Torre del Greco (Cluveu, Hai., pag. 4154), e la scoperta della sua real giacitura fu, in seguito, mero effetto di una circostanza fortuita che ver rem qui narrando.
   Nel 1706 il principe d'Elbceuf di Lorena giunse a Napoli alla testa dell'esercito imperiale invialo contro Filippo e v'impalmò, nel 1713, una figliuola del principe di Salsa. Posta dimora in Napoli edificò, nel 1720, una villa sul lido del mare vicino a Portici, ornandola di marmi antichi comprati da un contadino che li veniva estraendo da un pozzo nel cosidetto Campo del Poeta. Vistone tanta copia l'Elbceuf comprò il campo uv'era il pozzo e fece continuare per proprio conto gli scavi e le ricerche. Ne trasse fuori una grande quantità di marmi, di colonne intiere di alabastro, di statue greche di cui fece dono al principe Eugenio di Savoia ed a Luigi XIV re di Francia.
   Delle statue donate al principe Eugenio, due di giovinette appartenenti alla famiglia dei Balbi furon comprate alla sua morte da Federico Augusto dottor di Sassonia, ed ammiransi ora nel Museo di Dresda. A questa scoperta tenne dietro quella di una grande quantità di rarissimo marmo africano. Ricchezze siffatte, esagerate dalla fama, apriron gli occhi al governo austriaco e il viceré conte Daun chiese in nome del suo governo tutto quel ch'era stato trovato e vietò la continuazione degli scavi.
   (1) In questa distruzione non furonvi, si può dire, vittime umane come a Pompei. La scoperta di due soli scheletri nei primi scavi — di cui uno, dall'impronta del braccio steso rimasto nel tufo, par perisse mentre tentava porsi in salvo con una borsa piena di monete d'oro — dimostra che gli abitanti ebbero agio di salvarsi con la fuga : mentre la grande scarsità delle monete e degli oggetti preziosi rinvenuti è un'altra prova ch'essi ebbero tempo di rimuovere tutto quel che potevano portare con loro.