Introduzione
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Fin dai primi tempi romani il paese che sten de si dal Tronto al capo dell'Armi era diviso in staterelli appartenenti ai seguenti numerosissimi popoli o tribù che dir sì voglia: i Sabini, gli Equi, i Volsei, i Pahncnsi, i Pretuziani, gli Adriani, i Peligni, i Vestini, i Marsi, i Marrucini, i Erentani, i Sanniti Pentri, i Sanniti Irpini, i Sanniti Caudini, i Caraceni, gli Ausonii, gli Aurunci, i Sidicini, i Campani, i Picentini, i Lucani, i Bruzi, i Reggini, i Locrii, i Cauloni, gli Scilletici, i Crotonesi, i Sibariti o Turii, i Sirini od Eraclesi, i Metapontini, i Tarantini, i Cumani, i Palepolitani e Napoletani, i Posidoniati poi Pestani, i Veliensi, li Japigi, i Calabri o Messapii, i Salentini, ì Peucezii, i Dauni, e finalmente gii Apuli o Pugliesi.
Scorsero cinque epoche dal tempo che tutte queste antiche genti, divise in piccoli Stati, avevano perduto la propria indipendenza difesa e mantenuta da tre secoli di guerre sanguinose.
Durante la prima epoca furono spogliate dai Romani delle loro possessioni, sottoposte a duro giogo e ridotte ad uno stato estremo di oppressione, di miseria e di avvilimento.
La seconda fu opera di Barbari, i quali introdussero il feudalismo, sistema di governo ignoto all'antichità, ed istituirono una nuova forma di viver civile. Da ciò nuove leggi e nuovi costumi promossi da Carlo Magno. I sudditi più potenti arrogaronsi le prerogative sovrane e ne abusarono con orribili licenze ed oppressioni. La forza pubblica concentrata nelle lor mani assoggettò la podestà sovrana la quale fu costretta, per reggersi, a tenerli devoti al proprio volere. Ne risultò che i principi, divenuti deboli ed impotenti, non ebbero che una forza precaria e mal ferma e i loro Stati furono costretti a soggiacere per molti secoli a mutamenti frequenti ed a mali interni inabili.
La terza epoca ebbe principio coi Normanni ed ebbe fine con gli Svevi. Ruggero I fondò una potente monarchia sulle rovine della barbarie e dell'anarchia. Federico I stabilì un nuovo ordine dì cose. Superiore ai lumi del secolo, la sua niente atterrò la barbarie feudale, fondò un governo civile, compilò un Codice di leggi, assicurò la vita e la proprietà e formò la felicità generale.
Durante la quarta epoca il suo edilizio fu atterrato dagli Angioini, il cui governo divenne arbitrario, e il feudalismo mise radici più profonde di quelle dei tempi precedenti. Ferdinando I di Aragona calcò le orme medesime di Federico, ma divenne bersaglio così del potere feudale come dello straniero.
Peggiorò assai lo stato politico e civile nella quinta epoca in cui i viceré governarono il regno come provincia della monarchia di Spagna. Tutto precipitò in quel tempo nefasto nell'oppressione, nella corruzione e nella miseria.
L'assunzione al trono delle Due Sicilie di Carlo III formò la sesta epoca la quale addusse un grande mutamento nel regno e nelle condizioni dei suoi abitanti. Egli cominciò a regnare più come padre che come sovrano ed introdusse grandi riforme nel regno. Protesse le scienze e le lettere, riformò, con grave dispendio, l'Università degli studi, fondò accademie e lasciò in Napoli monumenti imperituri, fra i quali il gran teatro San Carlo, il braccio nuovo del palazzo Reale, i maestosi palazzi di Capodimonte, dì Portici e di Caserta, i famosi acquedotti di quest'ultima, 1 quartieri di Cavalleria a Napoli, Aversa, Nola e Nocera, il ponte presso la Deputazione della Salute, l'anfiteatro per le fiere presso il ponte della Maddalena, le strade pel pubblico passeggio intorno a Napoli e il restauro di quelle del regno, le miniere scavate nelle Calabrie, ecc. In tutte codeste e in altre opere Carlo III profuse i tesori che aveva recato con se e che trasse, durante il suo regno, dalle Spagne.
Morto, nel 1759, senza prole, gli succedette suo fratello, Ferdinando VI di Spagna, non senza separare in prima e in perpetuo le Due Sicilie dalla monarchia spngnuola, trasmettendole al figliuolo Ferdinando IV, ragazzo allora di soli otto anni, sotto un Consiglio di reggenza, e il buon governo del primo ministro, Bernardo Tanucci.