Mandamenti e Comuni del Circondario di Reggio nell'Emilia
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per Parma, mandati da Uguceioue Contrari, generale supremo e ministro del marchese di Ferrara, per punire Simone Guido ed Alberto da Canossa, che avevano usurpati alcuni possedimenti della chiesa di Marola. Dopo questo fatto Canossa risorse ancora, ma in condizioni assai mutate e la carta topografica che ne fu eretta nella prima metà del secolo XVI da Terzo de' Terzi per il duca di Ferrara, Ercole II, mostra i grandi mutamenti ivi avvenuti.
Nell'ottobre del 1557 le artiglierie, di Ottavio Farnese, signore di Parma, causarono una nuova devastazione, e fu la più grave, al castello di Canossa. Nel 1558 Alfonso d'Este, figlio del duca Ercole II. potè riprendere al Farnese la storica rocca; ma il capitano Manzio Monaldo, mandato all'impresa, avuto il forte, ue fa al duca la più lacrimevole descrizione. Gli Estensi, considerando Canossa ormai inutile alla loro necessità militare, l'abbandonarono allatto, senza compiervi quei ristauri che pur sarebbero stati necessari per ridonare alla rocca l'antica riputazione; poi, nel 1570, ne investirono il conte Bonifacio de'Ruggiero di Reggio, il quale trasformò il luogo in dimora campestre e signorile, occupando colla nuova fabbrica del suo palazzo l'area su cui sorgeva l'antichissimo palazzo comitale di Matilde, seguendo però le traccio della primitiva cos inizio ne, della quale appaiono tuttavia i segni scalpellati nella roccia.
« Ma anche, questa dimora dei Ruggieri — conclude il Campanini, dal quale abbiamo riassunte qui le notizie — abitata dai Rondmelli e dai Valentini e da costoro abbandonata, era già in rovina verso la metà del secolo scorso; sì che il sacerdote. Nicolò Catellani, buon cronista reggiano che verso l'anno 1750 la visitò, non ne vide che « imperfette le. sole mura esteriori ; quelle di mezzo totalmente nude e senza tetto di sorta. Sopra non v'è — scriveva egli — che l'abitazione del podestà, con sotto alcune prigioni, ove, dicesi, che fossero anteriormente le celle dei monaci, ed una piccola e bassa chiesa, o parte di essa, che serve ad uso profano, mezzo disfatta, con due basse colonne, fra le quali è un altare con grossa e larga pietra, sotto cui, dicesi, che
fosgeni i corpi e le reliquie dei santi..... Il resto è diroccato da sè; e Canossa, sì rinomata un tempo per
la vaghezza degli edifizi..... ora d'ogni monumento del suo antico splendore affatto priva ed anche ridotta in
forma alquanto più ristretta per la caduta di smisurati macigni scagliati col trapassare delle stagioni e dei secoli non mostra se non pochi miserabili avanzi di rottami ed un ordinario abituro, che serve da pretorio da tenervi ragioni per il giusdicente, sicché più non si può rintracciare e riconoscere Canossa in Canossa ».
Durante ì moti del 1831 gli abitanti dei villaggi circostanti, mal soffrendo di essere costretti, per le loro quistioni, di recarsi a Canossa ov'era mantenuta la sede del giudice, salirono all'antica rupe e devastarono la casa pretoria in modo da non renderla più abitabile. La cripta della chiesa, finché ressero le vòlte, servì di
ricovero alle pecore, pascolanti sul magro e sterposo piano livellatosi tra le antiche e recenti macerie.
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Canossa nel periodo matildico, —Uno degli episodi più caratteristici del gran dramma storico-filosofico compiutosi a Canossa, dramma dal quale si può dire trae il suo punto di partenza primitiva tutto il rivolgimento umano moderno, è quello dell'umiliante aspettativa imposta ad Arrigo IV, re ed imperatore, per tre giorni esposto ai rigori di un crudissimo inverno, sotto la neve caduta, a piedi scalzi, cinto il cilicio dei penitenti, vestito di sacco, il capo scoperto, fra la seconda e la terza cinta del castello, avanti di essere ricevuto dall'inesorabile pontefice ed assolto dei suoi peccati di disobbedienza ed infrazione alle nuovissime leggi da quegli, in nome della Chiesa, emanate : leggi che dovevano stabilire il diritto e la supremazia ecclesiastica sopra la civile, allora incontrantesi nel concetto dell'Impero. Sull'esistenza o meno di queste tre cintesi è fatto un certo discutere tra storiografi italiani e storiografi tedeschi nella ripresa recente degli studi canossiani, allorché si trattò del recente Centenario del gran fatto di Canossa e quando in Germania, tra guelfi e. liberali, si accese una viva polemica, a proposito della superba e celebre frase ili Bismark — allora gran cancelliere dell'Impero: — « Noi non andremo a Canossa... ». Frase che qualche anno dopo egli dovette rimangiarsi, cessando le ostilità verso gli ultramontani, o guelfi che si voglia dire, onde amicarseli nella lotta contro un nemico ben più temibile che gli sorgeva contro, il socialismo. Delle tre cinte di Canossa fuvvi chi negò e chi affermò l'esistenza. I pruni erano quelli che volevano attenuare il valore e la modalità dell'umiliazione inflitta ad Arrigo; gli altn invece, quelli che ci tenevano a ristabilire ì fatti nella loro esattezza ed a far risaltare iti tutta la sua intensità l'umiliazione subita dall'Impero a Canossa.
Il primo, o meglio il più antico a parlare delle, tre cinte di Canossa è il cronista tedesco, il monaco Lambert di AschalTenburg, vissuto in quel tempo, il quale, sebbene non sia mai stato sul luogo, potè molto probabilmente avere, la relazione del viaggio e dei fatti compiuti da Arrigo in Italia ed a Canossa, da qualcuno di quelli che. avevano accompagnato il re in quel viaggio. Ma come va, osservano altri, tra cui il dottor Pannenhorg (Studien sur Gesc.hirh.ti>. der Herzogin Matilde imi Canossa), che Donizzone, il monaco poeta, apologista della gran contessa, testimone oculare dei fatti, tacque questa circostanza delle tre cinte? Jla si osservò: che Donizzone tacque (e forse n'ebbe le sue buone ragioni) tante altre circostanze di fatto di maggior rilievo, che pure
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