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Parte Terza — Italia Centrale
il paesaggio si profila colla gran valle della Secchia, le colline del Modenese e i monti del Frignano; e da quel lato si scorgono nella bassa pianura: Novellare, « rocca inunitissinia dei Gonzaga; Carpi, gloria dei Pio; c Correggio, la dolce stanza di Veronica Gambara, di cui la pace piacque a Carlo V imperatore c consolò la malinconica giovinezza del Tasso ».
l'ili ad oriente, dove la Secchia allarga il suo letto sul piano verdeggiante, nereggia il forte di Rubiera, e formidabili? un tempo, sì che nei primi anni del secolo XVI trassero dalla Lombardia, per visitarlo, insieme col duca di Milano, Cosimo de' Medici e Francesco I re di Francia ». Al ili là di Rubiera, quando \i battono sopra i riflessi vivi del tramonto, è Modena; « su essa, come albero di nave, si leva la Ghirlandiiia, la magnifica torre, alla cui consacrazione assistette Matilde ». Lontano, nello sfondu orientale, si profilano le colline preapenniniche di Bologna, colla caratteristica punta del monte della Guardia, coronata dal santuario della Madonna di San Luca. A mezzodì, il monte Tesa (G89 m.) è come guardia avanzata delle maggiori alture che man mano si stendono verso l'Apemiìno : e dietro la Tesa torreggiano, sopra Castelnovo ne' Monti, la pietra Bismantova e l'alpe di Cusna. Ad occidente tutta la valle dell'Enza, dacché il fiume sbocca dai monti nel piano ondeggiato ed i luoghi già ricordati di Selvapiana, di Rossella, di Rio di Vico e la valle della Ce.resola, è un alternarsi di colline, di declivi e rli piani ondulati fino a Montecchio, la cui rocca ricorda le imprese di Alberico da Barbiano e di Muzio Attendolo Sforza. Nel paesaggio immediato spiccano i luoghi resi maggiormente celebri nel fortunoso periodo matildico: le Quattro Castella, cioè Rianello, Monte.lncio, Montezano e Montevetro, avanguardia dalla pianura al territorio di Canossa; il monte Giumegna, Lintergnano, Bergonzano, Grassano, luoghi ni gran parte ricordati da Donizone nel citato suo poemetto apologetico. Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso, che furono a Canossa, videro questi luoghi e ne riportarono impressioni di cui lasciarono ricordo nelle loro opere. E Giosuè Carducci, che nel 18S7 questi luoghi pur visitava, dall'impressione subitane, trasse,l'esordio del suo famoso discorso VOpera di Dante, tenuto in Roma l'S gennaio 1888, ove, accennato alle ispirazioni che i quattro maggiori poeti d'Italia trassero a loro volta dalla rupe di Canossa, aggiungeva : « E avviene di pensare che non senza fato quelle memorie della patria gloria d'Italia si raccolgano intorno alla rupe e su '1 piano, ov'ebbe apparenza di dramma fatale il dissidio tra la Chiesa e l'Impero, il dissidio onde con la libertà dei
Comuni uscì la forza del popolo d'Italia, il cui fiore fu nelle arti e nella poesia ».
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Gli scavi praticati in questi ultimi anni, dacché la rupe e le rovine di Canossa sono diventate monumento nazionale, hanno messo in luce avanzi bastevoli per confortare l'autorità degli scrittori contemporanei e farci conoscere, con ipotesi quasi sicura, come fossero distribuite le fabbriche sovra al sasso nel tempo della contessa Matilde e dopo di essa.
La strada principale, che dal declivio ove sorgevano i borghi conduceva alla rocca, saliva ih direzione da oriente a mezzodì. La parte della rocca, volta pur essa a mezzodì, aveva davanti un vestibolo, il reslibulum cauucinum menzionato da Donizone; sicché dopo, e cioè lungo il lato di ponente, nello spazio più elevato, dovette sorgere il Castello o il palazzo di Matilde. Del tempio di Sant'Apollonio, Vexeehum templum di Doniz-zone, rimangono in piedi notevoli avanzi : eretto sul lato meridionale, aveva la facciata rivolta a ponente e l'abside orientato, formando cosi il fianco destro del vestìbolo per chi si volgeva alla parte turrita del castello.
Dalla cripta del tempio, sul lato di mattino, s'estendeva, verso settentrione, il convento nel quale, al tempo ili Matilde, l'aliate fi dodici monaci avevano sostituito il preposto e dodici chierici ordinari, che dalla fondazione del tempio fino al periodo della contessa Beatrice, madre a Matilde, officiavano la chiesa. Muri antichissimi, venuti in luce negli ultimi scavi da questo lato, segnano l'esistenza di una serie di camere sotterranee in parte del convento, destinate con molta probabilità — secondo il Campanini, dal quale riassumiamo questi ccnm descrittivi — a magazzini del grano, dello farine e alle cantine, di cui parla Donizzonc. Ad essi, affatto indipendenti dal palazzo, si accedeva per una porta a metà della strada clic saliva alla rocca. E questa porta, di cui sono evidenti le traceie tanto dalla parte interna che dall'esterna del muro attuale, era difesa da una torre, di cui ancora si vede il basamento, che si legava al parapetto murato in giro a coronare la rupe. Dopo la distruzione del 1255, fatta dalle milizie reggiane, il castello fu riedificato dai successori di Bonifacio in parte sui muri vecchi, in parte, sulle recenti rovine (giacché le camere sotterranee verso mattino furono trovate ingombre e riempite dalle macerie della primitiva costruzione), e nella nuova costruzione, formala eoo scapole di pietra greggia, connesse alla riufusa con abbondanza molta di calce, fu serbato l'ordine e la distribuzione dell'antica ».
Ma ben altre e disgraziate vicende aspettavano l'antico castello di Matilde in seguito. Nella seconda metà del secolo XIII, una frana caduta sul lato di mezzogiorno della rupe costrinse a mutare le strade d'accesso al castello, il quale andò man mano subendo mutamenti, specie per l'assedio ed una distruzione sostenuta nell'anno 1412, ad opera di Guido Torello, capitano generale di Reggio, e di Gozzadino de' Gozzadini, capitana