Mandamenti e Comuni del Circondario di Reggio nell'Emilia
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la legge longobarda nel 1009: da un Guido, che viveva nel 1038; da un Gerardo, che viveva nel 1070 e fu successore della contessa Matilde, presente al placito che questa tenne in quell'anno nella non lontana Marroglia. Il Magnini, studioso delle cose correggesi, rilevando alcune trascuranze ed inesattezze del Lìtta, fa risalire lo stipite dei Correggeschi ad un vice conte Guiberto o Giberto di Bagnolo, vivente nel 962, oriundo dell'Austria longobarda e che fu il costruttore del Castelvecchio dì Correggio intorno alla preesistente chiesa e badia di San Michele Arcangelo, del qual santo — com'è noto — i Longobardi erano devotissimi.
Nel periodo comunale i signori di Correggio (ed in particolar modo l'accorto ed audace Giberto da Correggio) ebbero parte importante nelle vicende di Modena, di Reggio e di Parma, e diedero a questa città podestà, magistrati e guerrieri ed a Parma anche dei principi. Il minuscolo principato di Correggio, comprendente anche il territorio degli attuali Comuni di Fabbrico, Campagnola Emilia, Rio Saliceto, seppe, barcamenando abilmente tra le vicende dei tempi, or colle armi, or colla politica, or alleandosi ai più forti, conservare la propria autonomia fino al secolo XVII. Nel 1630 il principe Giovanni Siro di Correggio, ultimo di quella dinastia, che per virtù d'antichi privilegi imperiali s'intitolava anche d'Austria, caduto in disgrazia dell'imperatore Ferdinando II, dal quale feudalmente Correggio dipendeva, fu spodestato del suo Stato, che venne confiscato dalla Camera imperiale, con facoltà di riscatto mediante lo sborso di 230.000 fiorini d'oro al fisco imperiale. Il principe Siro non aveva la somma necessaria al riacquisto del suo Stato e, recatosi in Milano, impetrò dagli Spagnuoli aiuto di danaro. Ma gli Spagnuoli non gli diedero il danaro chiesto, pensando piuttosto di riscattare per loro conto quel principato, onde estendere la loro dominazione anche al di qua del Po. Al possesso di Correggio concorrevano eziandio i duchi di Mantova e di Guastalla, il principe d'Oria, il marchese di San Martino d'Este ed il duca di Modena Francesco I d'Este. Volendosi legare l'animo di questo principe, il re di Spagna fece offici alla Corte imperiale, perchè di preferenza il principato di Correggio fosse a lui devoluto, il che avvenne difatti nel 1635 per un decreto dell'imperatore Ferdinando II, contro l'obbligo del duca di Modena di rimborsare i 230.000 fiorini d'oro al re cattolico.
L'investitura fu provvisionale, restando sempre facoltà a Don Maurizio dei principi di Correggio, figlio allo spodestato Don Siro, di redimere per ugual somma il principato. Ma nella impossibilità di conseguire tale effètto, Don Maurizio si accordò col duca di Modena cedendogli ogni suo diritto sulla città ed il principato di Correggio contro altri benefizi ed il godimento di una quantità di allodiali. Ciò nel 1619, dal quale anno il principato di Correggio fu definitivamente aggregato agli Stati del duca di Modena e Reggio, il quale vi teneva a reggerlo un governatore speciale residente in Correggio medesimo.
Uomini illustri. — Antonio Allegri detto il Correggio. — Questa piccola città ha fama mondiale per aver dato i natali ed essere stata lungamente dimora di uno dei più grandi e geniali maestri che la pittura vanti. Antonio Allegri, che fu poi detto il Correggio, nacque in questa città intorno al 1494 da un Ser Pellegrino e da una Madonna Bernardina Piazzoli-Armanni, gente buona e di modesta fortuna.
Della sua infanzia nulla o ben poco si sa, all'infuori che lo si vuole iniziato ai primi gradi della pittura da uno zio paterno, artista del quale non sopravvisse altra memoria se non questo po' di riflesso che gli viene dalla fama grandissima del nipote. Suoi veri ed efficaci maestri, a quanto sembra, furono i figli del Mantegna in Mantova, dai quali riportò il fare un po' duro della sua prima maniera, saggio della quale è il Sant'Antonio nella Galleria di Dresda, dipinto nel 1512. Il soggiorno, che sebbene brevissimo, a quanto pare, fece in Roma, le ispirazioni ch'egli potè trarre dai lavori di Giulio Romano e di altri, ma soprattutto l'elaborazione della propria