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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincie di Modena e Reggio nell'Emilia
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1902, pagine 328

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Reggio nell'Emilia
   c261
   Ma il popolo e la borghesia, che in questo periodo avevano respirato a larghi polmoni l'aura della libertà; che dai più estesi traffici, dagli studi, dalle industrie sviluppatisi durante il periodo del Regno Italico, avevano tratto non lieve vantaggio, non presero grande parte a quegli entusiasmi, onde il duca, spirito sospettoso e vendicativo, ben ricordandtì anche la parte attiva presa da Reggio nei rivolgimenti anteriori, non mostrò mai grandi simpatie per Reggio e, quando gliene venne il destro, non risparmiò alla città vessazioni, dispetti, prepotenze. Tra questi atti dispettosi del duca a riguardo di Reggio va notato l'incameramento, a benefizio del demanio ducale, dei beni cosidetti delle Canonicltesse, che il Comune di Reggio godeva di buou diritto da tempo immemorabile. Invano gli amministratori del Comune protestarono contro questa inaudita spogliazione, mostrando il buon diritto della città fondato sopra antichi e solidi documenti e lo sconcerto che ne sarebbe venuto per l'economia comunale da quel fatto. Il duca si limitò a rispondere seccamente: < Si provvederà come si crederà per il meglio >. Per converso il duca profondeva somme nell'aprire seminari ed istituti di Gesuiti nella città ed in tutta la provincia ed infeudava le opere pie — rappresentanti un patrimonio di oltre 8 milioni — ai più ferventi suoi fautori, non importa se notoriamente conosciuti per inabili e disonesti, più atti a sperperare e malversare il danaro dei poveri, che ad amministrarlo ed accrescerlo. Per questi fatti, per la deficienza del lavoro e per la carestia che seguì le ultime vicende dell'Impero napoleonico, il pauperismo era giunto nel Reggiano a proporzioni spaventose, allarmanti, a mitigare le quali il duca si dava ben poco pensiero o tutt'al più ordinava funzioni religiose e provvidenze per i suoi favoriti.
   Questo stato di cose esacerbò gli animi dei migliori cittadini, che, memori dei bisogni e dei vantaggi del Regno Italico, si diedero a cospirare per abbattere il governo ducale e promuovere ¦indipendenza della patria. La Carboneria era la forma più ditlusa di propaganda delle idee liberali in quel tempo, l'organizzazione più solida degli aspiranti a tempi o cose migliori. Reggio diventò un centro fortissimo d'attività carbonara: più che Modena, dove l'oculata, sospettosa e diretta polizia ducale rendeva più difficili e pericolosi i rapporti degli affigliati e la propaganda delle idee.
   I moti torinesi e di Napoli, quantunque non avessero alcuna ripercussione di fatto negli Stati estensi, diedero pretesto al duca di inferocire contro i Carbonari. Si fecero arresti in gran numero a Modena, a Reggio ed in altri centri del ducato, fu istituito il terribile tribunale statario di Rubiera, che pronunziò nove condanne capitali per reato di carboneria e di queste condanne esecrande una fu eseguita nella persona del giovane, sacerdote Giuseppe Àndreoli, il primo martire in questo secolo della causa italiana. Dei Reggiani colpiti da quelle condanne ed appiccati in effigie vanno ricordati: Giovanni Sidoli, morto in esilio poco appresso, lasciando vedova quella Giuditta Sidoli-Malvezzi che fu l'angelo confortatore di Giuseppe Mazzini nei primi e dolorosi anni del suo esilio e che conservò incontaminata, insieme ad una singolare nobiltà di mente, fino alla morte, avvenuta in Torino, la sua fede repubblicana, il conte G. Gril-lenzoni, che ebbe i suoi beni confiscati e visse lungamente profugo in Isvizzera e non rientri) in patria se non coi tempi mutati; Prospero Perendi, esule egli pure e rientrato in patria solo dopo il 1859. Numerosi altri cittadini reggiani per lo stesso delitto di carboneria — leggi per aver aspirato a tempi migliori per la patria — scontarono lunghi anni di ergastolo nella cittadella di Modena.
   Queste persecuzioni attirarono maggiormente l'avversione dei Reggiani per il governo ducale: avversione che si tradusse in fatti nel 1831, poiché non appena in Reggio si ebbe sentore della rivoluzione scoppiata in Modena la notte del 3 febbraio nella casa di Ciro Menotti e della precipitosa fuga di Francesco IV a Mantova col prigioniero Menotti, la città fu in subbuglio: alcuni ardimentosi abbassarono gli stemmi ducali e sui pubblici edilizi vennero issate le bandiere tricolori. Venne istituito uu