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151-2 Parte Terza — Italia Centrale
Vescovado reggiense, ove se ne tolga qualche chiesa o parrocchia inclusa per ragioni speciali nelle diocesi limitrofe e Brescello, che solo dopo il 1480 fu annesso alla diocesi e territorio reggiano, sono gli stessi che delimitano la provincia di Reggio, cioè lo spartiacque apenninieo, l'Enza, la Secchia ed il Po: confine dato alla Chiesa reggiana da Carlo Magno e non mai variato, perocché, ad onta delle tante lotte e guerre sostenute nei secoli successivi, Reggio non perdette mai una tavola del proprio territorio.
L'instaurarsi del reggimento feudale, ideato da Carlo Magno negli ultimi anni della sua vita, toglie ai vescovi italiani molte delle prerogative temporali che avevano avute nel momento della catastrofe longobarda; allato all'autorità vescovile sorge (813) quella comitale; l'Emilia, come le altre regioni d'Italia, fu divisa in contadi ed il contado di Reggio con quelli di Ferrara, di Modena, di Brescia e d'altre città formarono una Marca o marchesato nel quale due secoli più tardi dovevano assurgere ad eccezionale grandezza e potenza fra i principi e grossi feudatari italiani i signori di Canossa.
Il governo feudale dei conti, a demolire o paralizzare il quale lavorava con lima sorda l'autorità dei vescovi, durò in Italia per tutto il periodo della dominazione carolingia, terminata nell'888 colla deposizione di Carlo il Grosso, ultimo della schiatta diretta del ristauratore dell'Impero d'Occidente.
La monarchia nazionale, che, allo sfasciarsi dell'Impero carolingio si presenta con Berengario del Friuli, facilita coi suoi errori, le sue debolezze, le sue colpe, la dissoluzione degli ordinamenti feudali a tutto benefìzio non di sè stessa, ma dell'autorità vescovile, la quale gradatamente riprende il perduto predominio e diventa arbitra della città, costringendo i signori feudali alla campagna, ai loro castelli della collina e della montagna; questo, come in quasi tutte le città dell'Italia superiore, anche in Reggio.Ed all'ombra dell'autorità vescovile cresce lentamente, ma sicuramente, un'altra forza, fin'allora non conosciuta o disprezzata e mal calcolata, la forza del popolo, che, un secolo appresso, sarà la vera arbitra della situazione e si imporrà a vescovi ed a feudatari col libero Comune.
Durante il regno di Berengario, Reggio, come le altre città dell'Emilia, è investita dagli Ungari e fu probabilmente dopo questo fatto che, per opera del vescovo Tenzone, specialmente, venne cinta di mura nella parte più interna e raggruppata: quella nella quale trovavansi, insieme alla cattedrale, i più antichi e cospicui edifizi della città. In tal modo la città rimase come divisa in due parti: cioè Reggio, o città nuova, la parte compresa nel circuito di queste mura; ed Emilia o città vecchia, la parte fuori delle mura, che stendevasi particolarmente lungo la famosa strada romana, o romea, come, anche nei bassi tempi, dicevasi. Il vescovo Tenzone ed i suoi successori ebbero sede nella città nuova, che costituì il nucleo generatore del futuro Comune.
Durante il secolo X il territorio reggiano fu teatro di notevoli avvenimenti che ebbero parte e conseguenze importanti sulle vicende generali d'Italia.
Sul principio di quel secolo, mentre l'Italia era devastata dagli Ungheri e desolata dalle guerre che l'insana politica di Berengario, la gelosia dei suoi competitori e la ambizione dei grandi feudatari continuamente suscitava, venne dalla Toscana e sembra precisamente dalla Lucchesia a stabilirsi in questa provincia, ove aveva non si sa se per acquisto o per eredità vasti possedimenti, un conte Sigifredo. Innamoratosi delle belle colline reggiane egli vi prese definitiva dimora e in un'aspra e biancheggiante rupe (detta per questo Canusia) eresse un castello, che fu condotto a termine e singolarmente fortificato dal suo figlio Azzo o Ottone Adalberto.
Stando al poemetto di Donizzone, il celebre panegirista della contessa Matilde, della quale fu contemporaneo, la fortezza di Canossa era appena fabbricata e completata < che una bella occasione — dice il Tiraboschi — si offerse ad Azzo Adalberto di far conoscere quanto opportuna essa fosse a sostenere qualunque più forte assalto >.