Modena
83
l'urgente necessità della riforma da lui ideata e dall'ostinazione colla quale Arrigo persisteva nel non volere alcuna mutazione, in nome della inviolabilità delle prerogative imperiali che non dovevano in alcun modo essere manomesse o menomate.
La contessa Matilde e non pochi altri principi d'Italia e di Germania, un po'per divozione e per convinzione, ma molto più perche la contesa loro giovava per scioglierli dal vincolo di sommessione o fedeltà all'Impero, abbracciarono il partito del papa, in ispecie quando, ai replicati rifiuti di Arrigo di accondiscendere alla volontà del papa, questi lo fulminò della scomunica maggiore, sciogliendo tutti 1 suoi feudatari e sudditi dal vincolo di fedeltà. Fu allora che Arrigo, per salvare la corona imperiale, dovette accorrere in quel crudissimo inverno del 1077 a Canossa, ove tro-vavasi il pontefice ospite della contessa Matilde, ed assoggettarsi a quella umiliante sommessione, che fu uno dei fatti più clamorosi del medioevo, dal quale scaturirono poi i due principi! politici che più tardi si palleggiarono il dominio, essendo intesi allora nelle due divisioni di Guelfo e Ghibellino: guelfo, rappresentante il concetto della suprema potestà della Chiesa in tutto; ghibellino, il concetto della potestà civile e laica, indipendente nelle sue funzioni da ogni vincolo colla Chiesa.
La contessa Matilde fu la grande, la fanatica sostenitrice delle ragioni del Papato in tutto il vasto suo dominio: essa mette sè stessa, le sue ricchezze, i suoi sudditi, le sue armi al servizio della Curia romana; lotta per il papa contro gli antipapi; punisce e destituisce quei vescovi che parteggiano per l'imperatore; conduce in persona le sue truppe contro quelle dell'imperatore e le vince in giornata campale a Sorbara, nella bassa modenese il 2 luglio 1084.
Anche quella bufera passò: colla morte di Arrigo IV e di Gregorio VII, l'uno a Spira, l'altro in esilio a Salerno alla Corte di Roberto Guiscardo, uno dei fondatori della dinastia normanna di Sicilia, le cose si raddolcirono. Arrigo V seppe manovrare meglio del padre e, sebbene talvolta il conflitto si inacerbisse, poco per volta le cose si appianarono e sul principio del secolo XII si ebbe un periodo di pace negli animi.
In questo periodo si iniziò in Modena — siccome abbiamo a suo luogo detto —-la grande opera della nuova Cattedrale, deliberata dai maggiorenti della città, dai consoli, dal Comune e dal popolo insieme, con grande entusiasmo. Richiestane la contessa Matilde, alla quale Modena era nominalmente soggetta, essa diede parere favorevole, commendando anzi l'idea che i Modenesi avevano di supplire con un nuovo e magnifico tempio all' insufficienza dell'antica e cadente loro Cattedrale. I lavori affidati al comacino maestro Lanfranco procedettero rapidamente, anche perla grande quantità di materiale, avanzo della Modena romana, dissotterrato in varii luoghi della città. Nel 1105 la fabbrica era giunta a tal segno che l'architetto Lanfranco disse < che non voleva andare più oltre finché il corpo del santo vescovo Geminiano non fosse dall'antico luogo in cui si giaceva trasportato al nuovo per esso apparecchiato ». Non piaceva a molti come immatura questa risoluzione. « Ma finalmente determinossi di accondiscendere al pio desiderio dell'architetto- L'anno 1106 fu quello in cui eseguissi la traslazione delle sacre spoglie Di questo fatto, che allora fece gran rumore, compiutosi coli'intervento di molti vescovi e di tutto il clero della diocesi e presente la contessa Matilde espressamente venuta, è rimasta memoria in una particolareggiata descrizione che fu inserita dal Muratori nella sua famosa Raccolta degli scrittori delle cose italiane, compulsata dal Tiraboschi e da quanti altri ebbero a trattare di storia modenese.
Nell'ottobre dello stesso anno, presenti il pontefice Pasquale [I, la contessa Matilde, il vescovo Dodone di Modena, Ronsignore di Reggio ed altri prelati, numeroso clero, l'architetto Lanfranco e numerosa folla di popolo, venne aperta l'urna e riconosciuto il corpo del santo vescovo, che fu poi collocato in nuova urna di porfido sotto l'altare della cripta del Duomo, ove tuttavia trovasi.