Modena
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traeva il suo prestigio dalla fede e la sua forza dalla devozione, dal favore popolare. Guarentiti da privilegi e da immunità, tutelati da un Foro speciale, allora potentissimo, interveniente di diritto e per ministero in tutte le quistioiii che dilettamente interessavano ed accaloravano il popolo, dì cui erano i pastori spirituali, fu facile ai vescovi l'esautorare l'autorità comitale, che ogni di più indebolivasi per sò stessa ed in causa delle vicende disastrose nelle quali l'Impero carolingio era precipitato e finito dando posto all'egemonia imperiale tedesca, contro la quale tentarono reagire i vacillanti e pallidi spettri in porpora imperiale Berengario del Friuli e l'emulo suo Guido da Spoleto.
Così ìli Modena come nelle altre città ch'erano state parte del regno longobardo, ili special modo sull'esempio di quello che avveniva a Milano, potè compiersi nettamente e rapidamente la rivoluzione vescovile, e già vediamo, sullo scorcio del IX secolo tra l'SOl e il 892, il vescovo Lodovico primeggiare sopra tutti ed ottenere dall'imperatore Guido la facoltà di rialzare le mura di Modena, di ripararne i cadenti edilizi, di aprirvi porte, costruirvi mulini, arginare canali, scavare intorno alla città le fosse interrate onde renderla atta alla difesa, affinchè i cittadini, lasciando il soggiorno della fittizia Cittanova, polissero rientrare nella loro vera antica città ch'era stata la culla dei loro padri e possedeva ancora i vetusti templi della loro fede, serbando vive le tradizioni di un passato glorioso cui nessuno poteva scordare. L'opera di Lodovico fu continuata con pari alacrità dal vescovo Gamenolfo suo successore, il quale ottenne da Berengario la conferma della facoltà ottenuta dal suo predecessore dal conte Guido di Spoleto; sicché sul principio del secolo X, all'epoca delle devastatrici invasioni degli Ungi ieri, la città potè mostrarsi in perfetto assetto di difesa ed in un ritmo antico cantato per lunghi anni dai soldati modenesi si accenna anche alle mura della città in occasione della calata degli Ungheri.
Ciò non impedì per altro che, all'appressarsi di questi, una gran parte di cittadini col clero ed il vescovo Gottifredo non si rifugiasse di nuovo in Cittanova, ove erano fortificazioni ili buono stato. Gli Ungheri, entrati in Modena, vi si trattennero un giorno e poi proseguirono la loro via, non recando — contrariamente ai loro usi ed a quello che avevano fatto a Bologna ed a Xonantola — danni sensibili alla città. Dall' incursione degli Ungheri si vuole traessero origine i molti castelli che al piano ed in collina sorsero nel territorio modenese, taluno dei quali esiste ancora e
Passato il pericolo poco per volta i Modenesi rientrano nella loro città che più da essi non fu abbandonata, onde Cittanova cominciò a decadere e, rimasta terra della Mensa vescovile, si ridusse col tempo a quel modesto villaggio ch'ò oggi, frazione del Comune di Modena. Sic transit, ecc.
Trascorre per la regione un periodo di relativa pace, per il quale viene sempre più a rafforzarsi la potestà ilei vescovi, anche per tutto ciò che ha tratto al reggimento civile della città. L'autorità comitale è affatto scomparsa, o per meglio dire si è compenetrata in quella vescovile, che non di rado per coonestare atti di potestà civile, al titolo ecclesiastico aggiunse quello feudale di conte. Specialmente durante il vescovado di Guido (943-968) le funzioni del pastore modenese assumono carattere civile e politico. Quando questi fu assunto al vescovado la Chiesa modenese dipendeva con largo vincolo di soggezione dall'effimero regno d'Italia imperniato dapprima in Ugo di Provenza ed ili Lotario suo figlio, indi in Berengario d'Ivrea, usurpatore delle ragioni e del trono d'esso Lotario, alla tutela del quale era preposto. Ciò vuol diro che la chiesa modenese era perfettamente indipendente e libera da qualsiasi soggezione feudale diretta. Ambiziosissimo uomo e per dirla anche col Muratori < gran faccendiere » questo Guido meditò dapprima di sottomettere alla propria giurisdizione