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l'arte* Terza — Italia Centrale
gli eroi delle future rivendicazioni ; dal moto del 1831 prese impulso l'anima infiammata di Giuseppe Mazzini, per iniziare l'opera grande del suo apostolato, non cessata che colla vita, quarant'anni dopo.
I)a Bologna, ov'era presieduto dall'avvocato Giovanni Vicini e formato da Pio Sarti, Antonio Zanolini, Carlo Pepoli, Antonio Silvani, Pattuzzi, Bianchetti ed altri animosi, il moto si propaga in tutte le Legazioni fino ad Ancona; l'Emilia è sollevata ed il duca di Modena e la duchessa di Parma fuggono a Mantova, riparando sotto le grandi ali protettrici dell'Austria, non senza essersi il primo trascinato dietro, preziosa preda, l'eroico Ciro Menotti, promotore del moto modenese.
La rivoluzione emiliana del 1831 era scoppiata fidando principalmente sulla teoria del non intervento, che sembrava dovesse imporsi alla diplomazia, ai Gabinetti, alle Cancellerie della Santa Alleanza per opera della Francia, la quale colla rivoluzione del Luglio aveva rivendicata la propria libertà costituzionale. I patrioti italiani, profughi o non, che in Francia si erano abboccati coi maggiori uomini politici e financo collo stesso re Luigi Filippo, allora ostentante grandi tenerezze per la causa italiana assai simpatica al popolo francese, avevano avuto solenne affidamento che il principio del non intervento sarebbe stato rispettato o fatto rispettare. Parve ai patrioti italiani venuto il moment® opportuno per operare risollevando le sorti della patria, ed operarono. Bologna fu il centro del movimento, al quale attendevano ansiosi e trepidanti gli altri patrioti del rimanente d'Italia. In pochi giorni il movimento estesosi da Piacenza ad Ancona e minacciante di trovare eco al di là degli Apennini ed a Roma stessa, ove Luigi e Napoleone Bonaparte (il primo dei quali fu poi Napoleone III) avevano pure tentato di sollevare il popolo, impaurì i legati, i quali più che precipitosamente abbandonarono le loro sedi, lasciandole ìli balìa del governo rivoluzionario. Si organizza subito una Guardia Nazionale, si chiamano ad istruire le milizie, che andavano formandosi, gli ufficiali ed i soldati superstiti delle campagne napoleoniche — delle quali era ancor vivo il ricordo ed il fascino nella fantasia delle popolazioni — il comando delle truppe vien dato al generale Luigi Zuccliì, che nelle battaglie napoleoniche, e sopratutto nella disastrosa campagna di Russia, aveva altamente onorato il nome italiano.
Ma le promesse dell'aiuto straniero mancarono ; mentre alle Camere francesi si discuteva accademicamente sul principio del non intervento, le truppe austriache, rompendo i confini sul Modenese e sul Ferrarese, sotto il comando di Radetzky, venivano, per ordine del papa e dell'imperatore, a ripristinare lo stùtu quo ed a punire i colpevoli. Errore massimo negli uomini che guidarono il moto del 1831 fu d'essersi illusi sull'efficacia di un principio teorico e di accomodamento tra i Gabinetti europei, appoggiandosi agli sperati aiuti francesi e di non avere invece provveduto ad allargare il movimento alle altre regioni suscitando fiamme in tuttaltalia; il che avrebbe inesso in serio imbarazzo non solo i governi locali ma tutta la politica europea, per la quale, in quel momento, lo sminuzzamento dell'Italia era ragione sine qua non di equilibrio. Innamorati del principio di non intervento, gli ingenui per quanto generosi uomini del 1831, lo applicavano sì rigorosamente, che quelli di Bologna non volevano aver voce nelle faccende di Modena o di Panna, nè queste città in quelle di Bologna. 1 varii governi provvisori trattavano tra di loro diplomaticamente, da potenza a potenza, ed 111 omaggio al principio suddetto si rifiutavano gli esibiti reciproci soccorsi. Da ciò l'indebolimento del moto e la facilità colla quale, in meno di due mesi, il Radetzky potè averne ragione, sbaragliando le poche truppe dallo Zucchi condotte in Romagna. Colla resa d'Ancona, avvenuta il 29 marzo, il moto sì rapidamente e felicemente iniziatosi era finito. Si ritornava dovunque allo statu quo e cominciava il periodo delle repressioni colle fucilazioni in Romagna, le forche a Modena, le galere e gli esìlii dovunque. Fra gli esiliati illustri in causa di quel moto si riscontrano i nomi dì Terenzio Maniiani, di Paolo Costa,